In Italia, Paese molto amato dalle spie di mezzo mondo in quanto osservatorio privilegiato sul Vaticano, Medio Oriente e I Balcani, si sta affacciando una nuova ospite: l’indiana DIA, Defense Intelligence Agency, da sempre in lotta con i cinesi. Di questo si discute nei bar del quartiere Monti e di Trastevere, frequentati abitualmente dalle barbe finte più stanziali a Roma, che sono prevalentemente uomini della CIA, dell’FSB (ex KGB) e del Mossad. Ma da cosa dipende questo attivismo dei servizi indiani nel nostro Paese? Solo per richiedere una presenza maggiore della Marina italiana nell’oceano indiano? I diretti interessati ovviamente minimizzano e considerano ormai superate le incomprensioni sorte, con momenti di grande tensione internazionale, dopo la vicenda del febbraio 2012 dei due marò, i fucilieri di marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, imbarcati su una petroliera italiana come nuclei armati di protezione e accusati dell’omicidio di due pescatori, scambiati per terroristi, che si trovavano su un peschereccio indiano.
Fonti dell’intelligence italiana, invece, ritengono che l’attivismo indiano in Italia nasca dall’interesse per alcune centrali che hanno basi logistiche nel nostro territorio e che soffiano sul conflitto permanente tra India e Pakistan, il quale ormai va avanti da 70 anni nella regione contesa del Kashmir, un’area lunga 135 chilometri e larga in media una trentina nel nordest dell’India. Tempo fa l’Enforcement Directorate di Nuova Delhi ha emesso diversi mandati di cattura internazionali nei confronti di cittadini pakistani residenti in Italia riconducibili a Lashkar-e Taiba, un’organizzazione sulla lista dei gruppi terroristici delle Nazioni Unite. L’India, con la regione del Bangalore definita la Silicon Valley dell’Oriente, sta diventando una delle prime potenze industriali per componentistica elettronica, utilizzata dalle principali società di telecomunicazioni, il settore più appetibile per qualsiasi servizio di intelligence; e continua a stringere alleanze in tutto il mondo, con una rete sempre più estesa che è arrivata fino a Edward Snowden, l’acuto esperto di sistemi informatici che ha messo ko la Presidenza di Barack Obama e che nel 2010 ha raffinato le sue competenze informatiche proprio a Nuova Delhi.
Anche di questo si dovranno occupare i generali Gennaro Vecchione e Luciano Carta, nuovi vertici dei servizi di sicurezza, nominati con il decisivo appoggio del prefetto Alessandro Pansa, da sempre consiglieri dell’ex Capo dello Stato Giorgio Napolitano, che sogna di avere la delega come sottosegretario ai Servizi oppure come Consigliere a Palazzo Chigi, riesumando un vecchio Ufficio di coordinamento risalente a quando ancora non era stato istituito il DIS. Di lavoro nel settore ce n’è molto per i nuovi responsabili ai quali, in un’ottica di bilanciamento dei poteri converrebbe coinvolgere alti ufficiali delle tre Forze Armate tradizionali, usciti malconci dall’ultima tornata di nomine che ha privilegiato la Guardia di Finanza in una logica di lotta alla criminalità economica e all’evasione fiscale.
Ma il terrorismo informatico, come scrive una vecchia volpe quale il Generale Umberto Rapetto, il primo ad accendere i riflettori sulla cybersicurezza, è all’attacco. Lo dimostra la cronaca degli ultimi giorni con milioni di indirizzi “bucati”, compresi quelli dei tribunali; mentre il terrorismo stragista per ora ci ha risparmiato. Che Dio ce la mandi buona.
Luigi Bisignani, Il Tempo 25 novembre 2018