Il 25 aprile è una festa zombie. Non frega più niente a nessuno. Non importa soprattutto quest’anno agli italiani presi a morire di pandemia e prossimi a morire di pandemia economica, con imprenditori veri, operai, commercianti, lavoratori tutti, che presto saranno sul lastrico e costretti a ritirare il pacco alimentare.
Eppure per una piccola cricca di giornalisti, di vergatori di romanzetti, di politicanti piddini e 5 stelle, di nani e ballerine del piccolo schermo, tutti firmatari del manifesto dell’Anpi, sembra sia diventata la priorità di questi giorni.
Quella stessa cricca che, dal 1994, solo per contrastare Berlusconi, aveva riesumato dalla fossa una festa che in realtà non era mai stata sentita dagli italiani e che negli anni ottanta era giustamente morta sotto i colpi dei “ponti” di primavera. La stessa cricca l’ha poi riesumata contro Salvini e oggi, che il nemico non c’è più, la agita contro non si sa bene chi – che il Covid sia fascista, come ha lasciato intendere un esponente dell’anpi milanese?
Sanno benissimo, i riesumatori di cadaveri del 25 aprile, che sono morti anche loro. E come gli spettri che cercano di ritornare in vita, si agitano. E allora ecco la proposta del 25 aprile virtuale e telematico, con canti di Bella Ciao dai balconi e collegamenti con i vip dalle loro ville in Maremma o a Portofino. Che non si capisce poi cosa ci sia da cantare e da ballare e da schignazzare: sui più di 25 mila morti? Sulla pandemia economica che farà finire in miseria molte più persone? Sul rischio concreto della distruzione della nostra industria e ricchezza nazionali?
Dove quelli che per decenni ci hanno sfiancato le gonadi con la dittatura dei diritti, dell’io sono mio, dell’io faccio quello che voglio, ora stanno qui ad esaltare il lockdown più cinese dell’Occidente, che vieta pure le grigliate in giardino. Fino al comico appello di Marco Revelli su Repubblica, a vedere nel 25 aprile telematico e virtuale un 25 aprile migliore di quello reale e materiale. Una specie di 25 aprile viralizzato, per dirla con Bergoglio. Solo che se i cattolici si stanno rendendo conto che il culto viralizzato significa la fine della religione, i progressisti non sono abbastanza svegli per capire che il 25 aprile virtuale equivale alla fine dello zombie.
Revelli, Lerner e compagnia canterina hanno sì capito che il Covid ha ucciso metà dei loro idoli progressisti e globalisti ma sono come quei croceristi che quando la nave sta affondando, invece di imboccare le scialuppe di salvataggio, continuano a suonare l’orchestrina. Più torva, e inquietante e pericolosa, è la faccia di quelli che hanno capito perfettamente ciò che sta avvenendo e vogliono trarne un vantaggio, anche se immediato e di breve gittata.
Sono l’Anpi e alcuni sindaci del Pd che pretenderebbero di sfilare loro, per il 25 aprile, quando nessun altro, e sicuramente chi non la pensa come loro, può farlo. Il Covid come occasione di far ritornare la loro terra amata, la Ddr. E l’associazione nazionale «partigiani» comunisti (esistono infatti associazioni di partigiani cattolici, liberali, socialisti) ha tanto pianto affinché un suo esponente partecipasse alla cerimonia che si terrà in quanto festa nazionale, che Conte li ha accontentati. Un grave errore da parte del governo aver consentito questo: ma da un governo sino-madurista cosa v’era da attendersi?
Cantare per cantare, allora, noi aderiamo alla proposta del senatore di Fratelli d’Italia, Ignazio La Russa e di Edoardo Sylos Labini di Cultura identità. Il 25 aprile cantiamo La canzone del Piave. Non per contrapporla a Bella Ciao: la Canzone del Piave è di tutti gli italiani, compresi quelli di sinistra o che non si sentono italiani.
Bella Ciao è la canzone di una parte politica che invece vorrebbe cantare solo lei.
E contro Bella Ciao, diventata un po’ quest’anno l’inno del regime del lockdown alla cinese, del regime dell’Anpi, del regime degli italiani reclusi e degli immigrati clandestini liberi, del regime che lavora per la pandemia economica, noi sabato canteremo – a bassa voce, mestamente e luttuosamente – la canzone dei nostri eroi della Grande guerra.
Marco Gervasoni, 24 aprile 2020