Stop a ribaltoni, instabilità politica, giochi di palazzo e tecnici calati dall’alto. Ristabilito, di contro, il primato della politica sulla tecnica e il diritto dei cittadini di decidere democraticamente da chi farsi governare. Potrebbero essere così sintetizzati i punti salienti della riforma costituzionale del premierato fortemente voluta da Giorgia Meloni e dall’esecutivo di centrodestra da lei guidato. Già approvato all’unanimità nell’ultimo consiglio dei ministri, il disegno di legge, che sancirebbe di fatto l’elezione diretta del presidente del Consiglio, dovrà adesso passare attraverso un complesso iter parlamentare che prevede l’approvazione del testo con maggioranza qualificata. Obiettivo di certo non semplice da raggiungere, tenuto conto degli attuali rapporti di forza nei due rami del Parlamento e della netta contrarietà dei principali partiti di opposizione, Pd e Cinque Stelle in testa.
Il segretario dem Elly Schlein non ha infatti esitato nel definire “pericolosa” la riforma, in quanto, a suo dire, finirebbe con l’esautorare il Parlamento e indebolire altresì il Quirinale. Il capo politico dei pentastellati Giuseppe Conte, dal canto suo, si è spinto addirittura più in là, teorizzando la caduta del governo Meloni in caso di eventuale referendum confermativo, e bollando peraltro il ddl come “confuso”, perché, secondo il suo punto di vista, ridurrebbe il Capo dello Stato a un “passacarte”, costituzionalizzando per di più i cosiddetti ribaltoni.
Gufi d’opposizione a parte, il cui parere, per ovvie ragioni, può essere tutto fuorché obiettivo, la proposta di riforma promossa dell’esecutivo di centrodestra può essere considerata auspicabile per almeno tre ragioni. Intanto, in un momento storico contraddistinto da una totale disaffezione del cittadino nei confronti della politica, l’eventuale elezione diretta del presidente del Consiglio si rivelerebbe già di per sé un salutare esercizio democratico, in quanto consentirebbe di valorizzare il ruolo del corpo elettorale, permettendo ai cittadini di scegliere liberamente da chi farsi rappresentare e governare. L’elezione diretta del premier, inoltre, andrebbe a ristabilire una volta per tutte il primato della politica sulla tecnica, scrivendo così la parola fine sull’infinita stagione dei governi non legittimati dal consenso popolare e dei presidenti del Consiglio ‘tecnici’ figli dei giochi di palazzo e delle scelte maturate nelle dorate stanze quirinalizie.
Infine, la norma anti-ribaltone presente nel testo del ddl, consentirebbe di cambiare presidente del Consiglio una sola volta nell’arco dell’intera legislatura, consentendo così l’attuazione di indirizzi politici medio-lungo periodo, e ponendo di fatto fine all’instabilità governativa che, almeno fino ad oggi, ha sempre contraddistinto, salvo sporadici casi, la storia repubblicana.
Salvatore Di Bartolo, 8 novembre 2023