Politiche green

“6.500 miliardi all’anno”. La Cop29 dà al cervello: i conti (folli) per il clima

Regna ancora una volta l’integralismo. Ecco i talebani pro-tasse: “Colpiamo criptovalute e plastica”

cop29

Quando si parla di clima e di ambiente regna l’ideologia, lo sappiamo. L’integralismo più becero e peloso annichilisce il buonsenso. Terrorismo, allarmismo, castronerie di ogni tipo. Il ritornello è sempre lo stesso e difficilmente cambierà. Già dall’apertura della Cop29 non sono mancate le sparate d’autore, ma con il passare dei giorni la situazione sta esponenzialmente peggiorando. Non tanto per gli obiettivi – certamente nobili – quanto per le presunte soluzioni messe sul tavolo. “Servono investimenti” è il mantra e fino a lì ci eravamo arrivati tutti. Ma di quanti soldi stiamo parlando? Beh, da questo punto di vista la Cop29 si sta trasformando in “Ok, il prezzo è giusto!”.

Il terzo rapporto del “Gruppo di esperti indipendenti di alto livello sulla finanza climatica” presentato alla Cop29 è il sunto dello spirito talebano che anima certi ambientalisti. Secondo il report, infatti, servirebbero 6.500 miliardi di dollari all’anno in media fino al 2030 per raggiungere gli obiettivi climatici globali. Di questa cifra, 1.300 miliardi servono per i paesi emergenti e in via di sviluppo (Emdc) diversi dalla Cina. Avete letto bene: 6.500 miliardi di dollari all’anno. Entrando nel dettaglio, secondo l’organismo di consulenza delle Cop sarebbe necessario triplicare il fondo da 100 miliardi di dollari previsto dall’Accordo di Parigi e in scadenza nel 2025, concentrandosi sulle sovvenzioni e non sui prestiti. Ma non solo: occorre aumentare i finanziamenti da parte delle banche multilaterali di sviluppo, che dichiarano di essere in grado di erogare 120 miliardi di dollari all’anno. E, ancora, un aumento degli investimenti del settore privato, e occorre coinvolgere i principali Paesi in via di sviluppo che sono in grado di fornire sostegno finanziario.

Il pool di esperti ha rimarcato che il maggior aumento degli investimenti è richiesto nei paesi emergenti e in via di sviluppo diversi dalla Cina, regioni con bassi livelli di investimenti e importanti esigenze di sviluppo. Aree che secondo le proiezioni potrebbero contribuire per oltre il 50 per cento alle emissioni globali nel 2030. Qualsiasi carenza negli investimenti prima del 2030, secondo il rapporto, aggiungerà pressione negli anni seguenti, creando un percorso più ripido e potenzialmente più costoso verso la stabilità climatica: “Meno il mondo ottiene ora, più avremo bisogno di investire dopo”. Una spruzzata di allarmismo non fa mai male.

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Cifre folli, come al solito. Così come certe proposte. Il mondo green è fan delle tasse, questo è risaputo. E la nuova proposta firmata da Barbados, Francia e Kenya va in quella direzione: tassare criptovalute e plastica, come l’aviazione e i combustibili fossili, a favore del clima e dei Paesi in via di sviluppo. I tre Paesi stanno valutando le cosiddette imposte di “solidarietà globale” sulle attività inquinanti. Parliamo di centinaia di miliardi di dollari in ballo. “Gli attuali impegni finanziari pubblici non sono sufficienti, quindi dobbiamo considerare le tasse” le parole del primo ministro delle Barbados, Mia Mottley.

Entrando nel dettaglio della proposta, la tassa sulle criptovalute potrebbe riguardare le transazioni, con entrate stimate in decine di miliardi all’anno, oppure il consumo di elettricità associato, che potrebbe generare 5,2 miliardi di dollari all’anno. Secondo il report ultra-green, inoltre, l’imposta sulla plastica “potrebbe sostenere il finanziamento di azioni contro l’inquinamento di paesi in via di sviluppo”: si stimano entrate tra 25 e 35 miliardi di dollari all’anno. Sappiamo tutti chi pagherà questa furia verde: i cittadini. E per ottenere quali risultati? Considerando il pregresso, è difficile ipotizzare qualsivoglia rivoluzione. Però come evidenziato in apertura, l’integralismo regna sovrano

Franco Lodige, 14 novembre 2024

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