di Silvia Cirocchi
Di questo giorno si salva solo la mimosa. Forse, perché in realtà sono allergica anche a quella. Ma è un’intolleranza sopportabile. Quello che non si sopporta è l’ipocrisia che ruota attorno all’8 marzo. Le femministe che sventolano la bandiera della parità insieme ad ex presidenti della Camera che nella disperata ricerca di un briciolo di visibilità continuano una battaglia in nome di una vocale. Una battaglia a loro dire in nome delle donne. Ma a nome di quali donne parlate?
Sicuramente non a nome mio, sicuramente non a nome delle donne che credono nel merito, non a nome delle donne che si sentono umiliate ad essere catalogate in una quota rosa. E ora il problema quale sarebbe? Che la Treccani dovrebbe cambiare le declinazioni della parola donna perché sessista? Care Boldrini&co quelle come voi fanno più danni alle donne che altro, già in passato con le vostre poco felici uscite sulla veste della donna siete riuscite a ridicolizzarne il ruolo, quando, ne sono convinta, le vostre intenzioni fossero all’opposto, ma sta di fatto che siete riuscite a sminuire le donne come altre mai.
Noi siamo le donne emancipate nei fatti e non grazie a crociate grammaticali imposte, noi siamo Beatrice Venezi che dal palco di Sanremo rivendica il suo titolo perché ha un nome preciso quello di direttore d’orchestra, non di direttrice. Siamo le donne che come me dirigono un quotidiano e possono sentirsi fiere di essere chiamate direttore senza sentirsi discriminate. Siamo le donne che non vedono fantasmi sessisti dietro ogni angolo.
Care femministe le donne non hanno bisogno delle vostre sceneggiate. La disparità tra uomo e donna cesserà quando si smetterà di dipingere la donna come un essere indifeso da tutelare e proteggere. Solo allora ci sarà davvero un rapporto paritario. Se proprio volete sposare una causa, sposate questa.
8 marzo 2021