Difficilmente questa rubrichetta si occupa di bestseller e, come dire, di libri mainstream. Ma in questo caso il libro di Antonio Scurati, M. Il figlio del secolo (Bompiani), vale l’eccezione. L’autore dice: «Mi sono assegnato un criterio rigidissimo, nessun personaggio, accadimento, discorso o frasi narrati nel libro sono liberamente inventati… L’antifascismo non regge più ai tempi nuovi (…) va ripensato su nuove basi. Raccontare il fascismo, per la prima volta in un romanzo attraverso i fascisti e senza pregiudiziali ideologiche, è il mio contributo alla rifondazione dell’antifascismo». È una gentile clausola di salvaguardia. Chiunque, profondamente ignorante come chi scrive, prenda in mano M. piomba in un mondo, in un contesto, lontano anni luce da ciò che ha studiato a scuola, visto in qualche documentario televisivo, letto in qualche brandello di articolessa giornalistica, riguardo il fascismo.
Il libro è stato criticato da Ernesto Galli della Loggia, per qualche errore fattuale davvero marchiano. Scurati li ha ammessi. Si tratta però, come nota l’editorialista del Corriere della Sera, più di una sciatteria della casa editrice che di un grande vulnus per l’impianto complessivo di un romanzo che in 850 pagine (volano) vuole raccontare l’ascesa di Mussolini, con una videocamera fissata sulla sua pelata. La critica dello storico ha un di più di corporativo, per rimanere in tema, e cioè una sorta di supponenza di un clan che si sente usurpato di un argomento. Tutti si sentono economisti, oggi, ma per carità nessuno si azzardi a parlare di Mussolini, con una laurea in Filosofia.
Ma torniamo a noi. Il libro, dal sapore romanzesco, appunto, è semplicemente magnifico. E riesce laddove centomila storici non sono riusciti. Anche se, probabilmente, con qualche errore disseminato qua e là. Riesce a rendere il clima di un’Italia in cui i vincitori, quelli della Grande guerra, si sono sentiti sconfitti. Racconta la violenza dei socialisti e delle loro leghe, nate prima dei fascismo e distrutte da questo solo per un motivo prettamente militare: un contadino non ce la farà mai contro un reduce, magari Ardito. Racconta poi i walzer di Mussolini che parte socialista e viene attirato dagli agrari, le giravolte degli italiani, anche quelli più tosti, i romagnoli, prima socialisti e poi fascisti. Disegna il democristianismo, ante dc, dell’Italietta liberale. Racconta ciò che tutti gli storici probabilmente sanno, ma che nessuno ci aveva raccontato e cioè l’origine patrizia di Matteotti, e la violenza dei congressi socialisti e la stessa violenza giustificata in aula da Matteotti, poi ucciso dai fascisti. Racconta le donne di Mussolini, la sua irrefrenabile voluttà, il ruolo della moglie popolana e dell’amante borghese. Ci restituisce un d’Annunzio forsennato a Fiume, e vittima del suo personaggio, cocainomane e poeta.
È un libro che ci racconta un periodo senza quel pregiudizio politico e moralista che sempre si accompagna a tutto ciò che riguardi Mussolini: senza alcuna intenzione di indulgenza nei suoi confronti, ma con un’apparente rotondità che la letteratura di Scurati rivendica a sé ma anche al suo testo, rispetto alla finta oggettività fattuale della storia.
Nicola Porro, Il Giornale 6 gennaio 2019