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A 20 anni di fascismo sono seguiti 70 di antifascismo illiberale. Ora basta!

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Aveva ragione Benedetto Croce quando diceva che l’antifascismo deve esserci quando c’è il fascismo ma quando non c’è il fascismo allora l’antifascismo non deve esserci o diventa ideologia e conformismo. Purtroppo, l’Italia ha conosciuto vent’anni di fascismo e settanta di antifascismo illiberale. Siamo ancora qui. Le cronache politiche e culturali, che per tutta la settimana hanno girato intorno al Salò del libro di Torino, ci dicono che l’antifascismo non è neanche più una campagna politica ma una vera e propria campagna pubblicitaria a favore del fascismo perché così se esiste l’uno è giusto che esista anche l’altro. È un gioco di specchi: il fascismo si guarda allo specchio e vede l’antifascismo che a sua volta si specchia e vede se stesso: il fascismo.

Ma perché l’antifascismo è illiberale? Perché l’antifascismo militante e militare è stata una invenzione di Palmiro Togliatti che attraverso il j’accuse “fascista” mise in fuorigioco non solo gli avversari politici non-comunisti ma chiese e ottenne – tranne rarissime eccezioni, come, appunto, quell’eretico di Croce – la sottomissione degli intellettuali che dal dopoguerra in poi saranno, secondo la profezia di Gramsci, solo “organici” al moderno principe del Partito comunista. Forse, non ci voleva nemmeno tanto in un paese in cui esiste un certo istinto di base a farsi cameriere del potente di turno e a saltare come le quaglie sul carro del vincitore. In fondo, il Migliore, che non esitò a piegare al suo interesse anche la prigionia di Gramsci e le sue lettere, conosceva molto bene non solo i comunisti ma anche i fascisti e quando trasformò l’antifascismo in un succedaneo dell’ideologia comunista si rivolse agli stessi intellettuali fascisti – professori, politici, giornalisti – per accoglierli nel Partito che non è stato solo la più grande macchina di potere italiano ma anche la più grande lavatrice in grado di togliere tutti i peccati del mondo precedente e ridare la verginità a chi abbracciava la Causa. Gli intellettuali così, come notò Vitaliano Brancati, tradirono una seconda volta.

È questo tradimento, come sapeva molto bene Indro Montanelli, l’origine di tutti i mali e perfino del male che oggi, sia i giacobini della sinistra superstite sia i fanatici del movimento inventato da Grillo e Casaleggio annusando l’aria delle decrepita democrazia italiana, identificano nella corruzione: ossia la dipendenza della cultura dal Potere. È l’origine di tutti i mali perché in questo modo la cultura viene meno al suo vero ruolo di critica del potere e diventando invece una delle tante mosche cocchiere del potere finisce per fare tutto ciò che fanno i consiglieri del principe: corrompono lo stesso potere.

E noi, purtroppo, siamo ancora una volta qui, giriamo in tondo in quel giro della prigione che corrisponde molto bene a questa frase di Norberto Bobbio: “Tutti i democratici sono antifascisti ma non tutti gli antifascisti sono democratici”. È questa, non quella del povero Piero Gobetti ucciso dalle legnate dei fascisti, la vera autobiografia della nazione. O, ancor meglio, è la seconda autobiografia di una nazione che non è disposta mai e poi mai a imparare dai suoi errori, dai suoi lutti. Il tradimento degli intellettuali si perpetua nel tradimento degli intellettualini, dei professorini, degli scrittorini che non sanno nemmeno che stanno scimmiottando una farsa. Come quella figura ariostesca del cavaliere che lottava senza sapere di essere morto.

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