Quanto accaduto negli ultimi giorni a livello politico è automaticamente associato al presidente Vincenzo De Luca prim’ancora di rappresentare uno stop per chiunque, nelle regioni a statuto ordinario, abbia intenzioni di candidarsi per oltre due volte, consecutivamente, alla massima carica regionale. Il secondo nome che il “riflesso condizionato collettivo” collega alla sentenza della Corte è quello del collega Luca Zaia a capo della regione Veneto; due nomi per certi versi accomunati dalla loro autonomia di pensiero perché distanti dalle linee guida dei rispettivi partiti di riferimento.
Se, per Zaia, lo scostamento dalle indicazioni della direzione nazionale della Lega sono considerate tollerabili ed espressione di diversità all’interno di una stessa formazione, lo stesso non vale per De Luca in quanto, da sempre, una spina nel fianco del Pd che, ad esser sinceri, gli ha remato sempre contro in ogni modo cercando di “farlo fuori” dal partito ad ogni possibile occasione.
Il problema è Vincenzo De Luca (per il Pd)
Durante un dibattito sull’argomento, alla Festa Dell’Unità 2023 a Napoli, ovvero in tempi non sospetti, lo stesso presidente rimarcò che la questione era, allora, interna al Pd ed il “problema era lui e non il terzo mandato” (minuto 4:35 del video). Da quando è stato eletto per la seconda volta, infatti, sono aumentati esponenzialmente i “mal di pancia” all’interno dei democratici (che, di fatto, tali non sono) paradossalmente scontenti che De Luca aveva conquistato ancora una volta la regione Campania.
Le divergenze di vedute, sullo stesso concetto di politica tra De Luca e la direzione del partito, risalgono ai tempi di quando lui era Sindaco di Salerno, città che sollevò dalle macerie portandola dalle “stalle alle stelle” e dimostrando, bisogna ammetterlo, che i suoi metodi da “sceriffo” erano efficaci e concreti. Pertanto, ciò che, da allora, ha rappresentato per il Pd, il “problema De Luca”, in realtà, non erano i metodi (che in Direzione contestavano con ipocrisia ed invidia) bensì la persona che li aveva messi in pratica ottenendo riscontri positivi ed apprezzamenti bipartisan da chiunque, a prescindere dai colori politici.
Se a fare tutto ciò che ha realizzato l’ex “sindaco Sceriffo” fosse stato un qualsiasi altro esponente, nelle grazie della direzione, non sarebbe stato sollevato alcun problema. Tale divergenza di vedute, mai risolta, spinse il partito, nelle tornate elettorali per l’elezione del sindaco, addirittura a candidare contro De Luca esponenti dello stesso Pd ed inviare membri della direzione che venivano in “processione” a far campagna elettorale contro di lui. Chi vi scrive ne è testimone diretto vivendo a Salerno.
Il pretesto dell’antifascismo
Anche il presidente Luca Zaia, commentando la decisione, ha dichiarato che questa sentenza non fa altro che “confermare che lo stop impatta su 15 governatori mentre gli altri possono restare quanto vogliono e soltanto sui sindaci di comuni oltre i quindicimila abitanti, e guarda caso si tratta di cariche elettive”.
Come dargli torto? Purtroppo, la questione risale sempre a ciò che la nostra Nazione ha subìto durante il ventennio fascista (naturalmente da condannare, meglio specificare) e che, ad ogni alito di vento, viene tirato fuori come pretesto per “far fuori” esponenti scomodi che si discostano dall’immobilismo politico delle direzioni nazionali dei partiti ottenendo consensi per il loro operato. Naturalmente queste considerazioni non delegittimano in alcun modo la sentenza della Corte ma sono il segnale di una Nazione incatenata a pregiudizi secondo cui i concetti di potere, autorità, repressione, consensi eccessivi siano sintomi di “fascismo” o “deriva autoritaria”.
Non è assolutamente così; è la stessa Costituzione, infatti, nonostante scritta sull’onda emozionale del post-fascismo, a prevedere soluzioni “restrittive delle libertà e l’uso della forza” al fine di ottenere il rispetto delle leggi; nella realtà dei fatti, inconfutabili, invece, stiamo assistendo all’opposto, ovvero che una certa parte politica, con il supporto di una fetta della magistratura, dichiarandosi “democratica utilizza metodi fascisti per estromettere avversari o persone scomode” (nda).
Anche Costituzione andrebbe modificata
Il terzo mandato, così come altre annose questioni su cui si sono sprecati fiumi di parole e decine di “ingerenze” della Magistratura (vedi caso Salvini per aver svolto il proprio dovere quando era ministro), non è altro se non una delle tante armi improprie utilizzate per evitare che menti “rivoluzionarie” possano prendere il potere e cambiare realmente questo Paese. Ciò che andava bene oltre mezzo secolo fa non può adattarsi ai tempi in cui viviamo, e tantomeno normare fenomenologie che oggi esistono e prima non erano minimamente immaginabili.
Provate solo a pensare se, ad esempio, negli anni ’60 qualcuno avesse detto che “padre e madre sono discriminatori” cosa sarebbe accaduto… oggi invece ciò è legge. Pertanto, se alcuni ambiti della vita sociale vanno modificati nell’assetto normativo, ciò non può essere valido soltanto per le finte questioni morali (che le sinistre usano pro domo propria) ma abbracciare ogni sfera legislativa riadattandola ai tempi in cui è strettamente necessario eliminare burocrazia e limitazioni in virtù di un solo reale principio sancito nella nostra Costituzione: “la Sovranità appartiene al Popolo”, e non c’è alcuna questione terzo mandato che tenga o altri ipocriti pretesti a “difesa della democrazia”.
Antonino Papa, 12 aprile 2024
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