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A pedate nel sedere: che pessima fine questo calcio

Viziati e annoiati: il calcioscommesse italiano è ormai caduto nel baratro

© Dom Le Roy tramite Canva.com
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Come si vive bene a Milano dove se hai i soldi giusti, se stai nei giri giusti puoi spassartela a pendolo tra la Gintoneria e la Elysium, le centrali del riciclaggio per le puttane la bamba e le scommesse illegali. Mondi paralleli che si intrecciano come cerchi olimpici tutti neri, solo neri e in mezzo ci passano gli stessi, ci passano i soliti: calciatori, peripatetiche da Onlyfans, mafiosi, giornalisti, quelli non mancano mai, tutti a scommettere e “sciabolare”, tutti uniti nel canto funebre della noia, nella morale stracciona dai comandamenti facili: così fanno tutti, che c’è di male, ognuno sia libero.

Che c’è di male? In quaranta giocatori coinvolti, indagati in dodici ma vedrete sarà solo la punta dell’iceberg, a far la fila nella gioielleria incastonata nel centro milanese, a fingere di comprare patacche di lusso per coprire i bagni delle giocate sfortunate, eiaculazioni di soldi quando se ne hanno troppi e non si sa che farsene. Che c’è di male? Giocavano anche ai ritiri della Nazionale, anche dopo che avevano pubblicamente giurato di non farlo mai più, di essersi curati agli inutili incontri per ludopatici. Gente di vent’anni o giù di lì, poi sono tutti bravi a inginocchiarsi per la causa woke, a cianciare se li intervistano di inclusione e di rispetto. Ma il capo del calcio, il Gravina che infila in Figc i figli di politici e dirigenti, dice che va bene così e chiede i soldi dalle scommesse lecite, quelle “buone”. Va sempre tutto bene così ma c’è sempre bisogno di soldi nel calcio miliardario e fallimentare.

La noia? La cretinità innata? Questo tempo merdoso che non aspetta nessuno? Certo è facile rispolverare per l’ennesima volta la solfa del giovane campionissimo Gianni Rivera che a quell’età dormiva ancora sul divano letto dei genitori anche se costava più di una squadra intera e non si montava la testa, ma a che servirebbero questi ricordi patetici, da Libro Cuore del pallone? Sono passati quasi settant’anni e la realtà oggi è quella che è e parla di un sistema calcio intrecciato col peggio del peggio: azzardo proibito, riciclaggio, arroganza, criminalità organizzata sullo sfondo, racket degli stadi, qualità umana e sportiva rasoterra, successi non pervenuti. Due mondiali di fila ciccati, figuracce a ripetizione, ma i nostri eroi si sballano di scommesse, perdono soldi come fontane, vanno alla Elysium di Montenapo, di Foro Buonaparte a ripulirsi, a fingere di trattare i Rolex alla maniera dei magliari. Ma finché li osannano…

Mi trovavo un anno fa dalle parti di Piazzale Lotto, c’era un albergo dove i giocatori del Milan e dell’Inter fanno tappa prima di recarsi allo stadio, e lo spettacolo fu impagabile: uscivano questi ragazzini tronfi come dèi dell’olimpo, nelle orecchie le cuffie per isolarsi dalla plebe che li acclamava come al Colosseo, gente orribile, i vorrei ma non posso sformati dalla vita, “t’el là el Leao”, c’era poi uno, seduto al tavolino, uno di quei disgraziati, mollicci, di quel flaccidume milanese, travestiti da manager, malamente, la cravatta allentata, storta, il doppiopetto di carta stazzonato, le scarpe sbagliate, l’alito sicuramente fetido, che raccontava al telefono a chissà chi, forse un collega, forse una donnina degna di lui, “ah, stanno uscendo adesso”, fiero, impettito anche lui come se avesse avuto un ruolo in quella pantomima squallida, una scena da ammazzarsi, ma quello era felice nella sua tracotanza milanese e straziante.

Così fan tutti, che c’è di male? Ma niente, per carità: forse che negli altri Paesi, negli altri palloni è diverso? Sono i comandamenti globali del post liberismo post tutto, post coscienza, post decenza, post logica. A vent’anni, riempiti di milioni, pagato per sgambettare un giorno alla settimana su un prato mentre li esaltano, li viziano come sultani, non trovano di meglio che partecipare al banchetto del malaffare, che infilarsi come topi in una gioielleria gestita da malviventi che funziona da lavanderia dei soldi e poi da lì spostarsi nel buco gemello di un bordello dove comandano due, madre e figlia, che si son fatte dieci anni di galera dura per avere rovinato legioni di scemi con le alghe, i blocchi di sale, la superstizione italiana di quelli che tengono sul comodino cabala e santino, che pregano Dio di fargli azzeccare la scommessa giusta. E se gli dici che le cose sono incompatibili, che sta scritto nell’eternità “Non avrai altro Dio fuori di me”, rispondono coi loro denti avariati: ma io col Padreterno me la vedo io, io ci ho la mia religione personalizzata.

Ma sì, tutto quello che si può fare si faccia, così fanno tutti, che male c’è. E se dici che no, il male c’è, sei moralista, sei un perdente. “Chi giudica è perché non può”. Il tipo italiano, straccione, politico o calciatore che sia, è particolare, va d’accordo con tutti, gioca su tutti i tavoli, esce da Messa e sale su dal mago, prega Dio per azzeccare il terno, se c’è una guerra è amico di tutti i contendenti. E dice: ma io sono buono, io pecco in grazia d’Iddio, in fondo che faccio di male? Ma non pigliamoci per il culo a forza di minimizzare, di relativizzare o di contestualizzare: se l’eccesso di soldi genera fame di soldi, se questi a vent’anni passano la vita a scommettere di merda sulla qualunque, cosa ci autorizza a pensare che non si vendano pure le partite?

Il livello morale quello è, tutto ciò che si può fare si faccia, solo chi non può si scandalizza, e allora, stare al mondo per stare al mondo, accettiamo anche questo, che vendersi i gol, gli incontri, gli scudetti fa parte del pacchetto, oggi come nel 1980, nei secoli dei secoli del mondo pallonaro, basterebbe riprendersi i libri esplosivi (e censurati) di Carlo Petrini. È solo un altro scandalo che dura un giorno, la plebe perdona tutto e non mancheranno mai falliti in fila davanti all’albergo per sfiorare i giocatori di scommesse, i campioni del riciclaggio e del narcotraffico. A dire quelli che allo stadio ci vanno sapendo che è tutto truccato ma ci vanno lo stesso, poi tornano a casa e si attaccano anche loro alla piattaforma per buttare qualche spicciolo, imprecando quel Dio delle scommesse che non li aiuta mai.

Max Del Papa, 12 aprile 2025

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