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Il portierone lascia il calcio

A rivederci, Gigi Buffon

Gigi Buffon ritiro

Porta chiusa. Buffon Gianluigi, di anni quarantacinque, toglie i guanti, sveste la divisa e, infine, prova a vivere come mai gli era riuscito. Capita con chi ha regalato fette di esistenza al lavoro, nel caso suo il gioco del football, capita a chi ha scritto la storia di questo sport, capita a chi è diventato un fenomeno, sfiorando la leggenda. Si fa presto, nel mondo del giornalismo sportivo, a creare il mito, lo usi, lo sfrutti, lo accarezzi, lo esalti, lo critichi, quindi lo celebri con un repertorio anche dolciastro, quasi diventando tu stesso il protagonista di una narrazione che non ti appartiene.

Nessun addio drammatico, imprevisto, improvviso, Buffon si sposta, il suo è un semplice passo indietro o di lato, tolgo il disturbo è un biglietto da visita che lui ha esibito a Torino prima e a Parigi dopo, con maglie diverse, compresa quella azzurra della nazionale, un’uscita elegante che arriva forse in ritardo ma in fondo va compresa, il gioco del pallone è affascinante per chi lo osserva, è appassionante per chi lo vive da dentro e pochi ne comprendono il mistero.

Buffon è stato fetta grande di questo secolo di calcio, ha vissuto da bambino con la gioia fresca del suo carattere e da adulto con l’impegno professionale quotidiano, si è esposto agli ipocriti e ai sepolcri imbiancati per alcune sciocchezzuole adolescenziali, il boia chi molla, l’88 sulla maglia di portiere, furono argomenti della propaganda indovinate di e da chi. Ha commesso errori imprenditoriali, si è viziato con le scommesse e per questo è stato indicato come un lestofante pericoloso, da mandare al gabbio, poi il trionfo di Berlino servì a tappare la bocca alle tricoteuses.

Alto, bello, poderoso, ha acciuffato mille palloni e altrettante donne (si può scrivere oppure è sessismo idiota?), ha conquistato premi, uno, il più importante, il Pallone d’Oro riservato al migliore d’Europa e del mondo, gli fu tolto dal sodale azzurro Fabio Cannavaro, come capitò ad un altro Gigi, Luigi Riva da Leggiuno, l’isolano Rombo di tuono del Cagliari beffato dal metropolitano Gianni Rivera, il bambìn mandrogno del Milan. Trattasi di grandissimi, tribù della quale Buffon ha fatto parte con onori ed oneri, ottimamente guadagnando, molto spandendo e spendendo, infine rifiutando il forziere offertogli dai soliti ingordi sauditi.

Per approfondire

L’elenco di trofei, presenze e record non rende però l’idea della grandezza esatta e del censo professionale di questo ragazzone che, a pensarci bene, non ha ancora deciso cosa farà da grande. L’assistente di Mancini in nazionale? Come seppe fare Gigi Riva e come ha saputo ribadire Luca Vialli? Ehssì, Gigi è un buon padre, un buon amico, potrà scuotere qualche bamboccio viziatello, potrà spiegare come si affronti una convocazione azzurra, come si debba vivere la vigilia di un partita, come rispettare l’avversario. L’arbitro? Se non ha un bidone di immondizia al posto del cuore, ebbene anche lui.

Leggo celebrazioni da vivo come certi “coccodrilli” tenuti in cassetto. Presumo che abbia ritagliato tutto, gli piace studiare, capire, scrutare, lo ha fatto restando tra i pali e osservando gli altri muoversi, correre, calciare. Resto nell’area dei narcisi, cito Raymond Chandler e il “Il lungo addio”: “Arrivederci, amigo. Non vi dico addio. Vi dissi addio quando significava qualcosa. Vi dissi addio quando ero triste, in un momento di solitudine e quando sembrava definitivo”. A rivederci, Gigi.