Cronaca

A scuola in Italia come in Iran: studenti al corso di hijab

Ad Abbiategrasso l’istituto avvia un corso di lingua e cultura araba. Pronto anche un laboratorio per indossare il velo islamico

corso hijab ad Abbiategrasso © Dean Drobot tramite Canva.com

Mettiamo insieme due notizie, così distanti nei luoghi eppure così paradossali. Partiamo dall’Iran, dove la polizia morale (polizia morale, capito?) ha annunciato che adotterà “misure severe” contro le donne “che non osservano l’hijab obbligatorio nei luoghi pubblici”. Con macabra ironia, hanno chiamato l’operazione “Nour”, cioè “luce”, benché sia quanto di più oscurantista si possa immaginare. La seconda notizia arriva invece dall’Italia, per la precisione da Abbiategrasso, cittadina lombarda nella periferia di Milano un po’ come Pioltello, solo dalla parte opposta della città: qui l’istituto “Vittorio Bachelet”, come rivela Bianca Leonardi sul Giornale, anziché chiudere i battenti per Ramadan ne ha pensata una ancora peggiore, ovvero l’istituzione di un corso di arabo avanzato tenuto da alcuni studenti arabofoni con tanto di festicciola per la recente fine del mese di digiuno e di “laboratorio di hijab“.

Chiaro? In Iran la polizia morale si prepara a “perseguire” chi non rispetta l’hijab, simbolo di sottomissione e oppressione femminile a Teheran, e in Italia istituiamo corsi per indossare l’hijab. E la questione non è tanto il senso di integrazione al contrario, per cui non sono i musulmani a doversi integrare, ma gli italiani ad accettare le nuove tradizioni. Qui il punto è la schizofrenia del progressismo, il quale sostiene da tempo le proteste anti-hijab reso obbligatorio in Iran dopo la rivoluzione islamica nel 1979, ma non protesta se a Roma le donne vengono rinchiuse in un recinto durante la preghiera per impedire loro di guardare mariti e figli maschi.

A settembre del 2022, forse lo ricorderete, una 22enne – Mahsa Amini – venne uccisa durante un periodo di custodia di polizia per non aver indossato correttamente il velo e per aver lasciato intravedere i capelli. Ne nacque un movimento di protesta che tanto sostegno trovò in Occidente e che portò alla morte di 500 persone. Nove, dicasi nove manifestanti sono stati giustiziati dal regime. Colpiscine uno per educarne cento. I deputati Pd, giusto per citare qualcosina, hanno più volte sostenuto questa battaglia: “Nessuna violenza, repressione e brutalità potrà fermare questa rivoluzione gentile”, disse Irene Manzi; “In Iran continua la repressione spietata, ma anche la coraggiosa resistenza di donne e uomini”, le fece eco Laura Boldrini. Più volte i progressisti sono (giustamente) scesi in piazza contro la “polizia morale” e in favore “delle donne iraniane” che “si battono per i diritti e le libertà”. Eppure l’hijab, simbolo di repressione quando si parla dell’Iran, diventa motivo di corso scolastico ad Abbiategrasso. Che senso ha? Critichiamo la sottomissione delle donne nella cultura islamica radicale iraniana e poi la promuoviamo nelle nostre scuole? Alla faccia del patriarcato, dell’uguaglianza e di tutte le lotte per il femminile sovraesteso. Se non è schizofrenico questo…

di Franco Lodige, 15 aprile 2024

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