Le parole di Nicola Morra hanno scatenato una delle ultime polemiche politiche di cui non si sentiva il bisogno. Da presidente della commissione Antimafia ha lanciato accuse di infiltrazioni mafiose nelle prefetture e al ministero dell’Ambiente. Gli è stato chiesto conto e ragione, vedremo. Mi pare che l’ennesima tempesta mediatica abbia avuto soprattutto il vantaggio di ricordarci dell’esistenza (politica) di un ex-grillino (oggi Gruppo Misto) in cerca di visibilità.
Ma come biasimare Morra? I presidenti devono pur dare conto delle attività e delle conoscenze acquisite dalle commissioni che presiedono. Peccato che queste (le commissioni parlamentari) non sembrino costituite per fornire un servizio alle Camere e al Paese (la Costituzione le prevede solo per presentare disegni di legge all’aula). La loro esistenza sembra giustificarsi in funzione della moltiplicazione di visibilità richiesta dai loro presidenti, vicepresidenti e segretari, leader veri o aspiranti, rappresentanti di parte o di partito da premiare o da tacitare per crediti accumulati dentro e fuori il Parlamento. Tante commissioni, tanti presidenti. Una superfetazione degli organi parlamentari che non fa onore a chi rappresenta il Popolo italiano e che ha tutti gli strumenti ordinari per svolgere il proprio mandato, seguendo l’indicazione della Costituzione (articolo 72).
A chi servono veramente le commissioni
Una provocazione: non sarebbe meglio cancellare un po’ di commissioni parlamentari, tra permanenti e consultive, monocamerali e bicamerali, di vigilanza e di controllo, speciali e d’inchiesta? Oltre alle 14 commissioni che ciascun ramo del Parlamento costituisce all’atto di formazione di ogni legislatura, ci sono poi quelle non espressamente previste dai Regolamenti, ma decise per legge e per una sorta di tradizione: quelle “permanenti”, di cui non si fa menzione nel dettato costituzionale.
Uno studio del Senato ne ha contate sette tipologie per poco meno di 200 titoli, che moltiplicato per almeno sei o sette legislature (si sono moltiplicate dalla decima legislatura in poi) fa un totale di circa 1500 commissioni – oltre alle 28 di base per ogni legislatura – in settant’anni di storia repubblicana parlamentare. Una media di almeno 20 commissioni speciali (spesso permanenti) per ogni anno.
Vi racconto la mia esperienza
Per diretta testimonianza – come presidente dell’Inps – ho avuto occasione di avere spesso a che fare con la “bicamerale” degli Enti gestori della previdenza italiana. Non credo che l’Istituto che ho avuto l’onore di presiedere abbia mai beneficiato di alcuna indagine o reportistica specifica o qualificante prodotta dalla commissione. Ho ricevuto solo molte telefonate dei componenti e dei presidenti per suggerire o segnalare situazioni personali, o per raccogliere il mandato a fare da intermediario nelle stanze del potere.
Al netto della possibile sfortuna – può capitare di non incrociare sempre i migliori – ho il sospetto che la gran parte delle attività delle commissioni speciali e permanenti potrebbe ricadere nella quotidianità dei lavori parlamentari.
Si fanno audizioni, si dispongono consulenze (quasi mai gratuite) si definiscono perimetri di potere, più o meno profondo. Ma poco o nulla si aggiunge a quello che viene fatto dalle 28 Commissioni d base, anche perché non sempre ci sono ragioni per creare commissioni ad hoc: dal terremoto del Belice alla tragedia del Vajont, da alcuni episodi di mafia ad altri di terrorismo, dalla P2 al caso Moro, le occasioni “speciali” d’inchiesta si contano sulle dita di qualche mano. E non sempre se ne giustifica la ragione di raddoppiare il normale iter giudiziario.
Se si prendesse seriamente l’ipotesi di azzerare la gran parte di questo surplus di commissioni ci si eviterebbe anche di discutere circa le dimissioni di alcuni suoi presidenti, troppo intraprendenti nella comunicazione e pochissimo efficienti nell’attività parlamentare di inchiesta e di controllo. Perché chiedere a Nicola Morra di dimettersi? Non è forse meglio abolire la commissione antimafia? Intendiamoci, è una provocazione, che ha lo scopo di “normalizzare” un Paese sempre in cerca di ragioni per uscire dalle regole e per giustificare lo straordinario.
Antonio Mastrapasqua, 13 ottobre 2021