Un aforisma dice “mai dire mai”. Soprattutto dopo la sconfitta, decisamente inattesa, della Sardegna. Dunque inutile nasconderlo: la vigilia del voto in Abruzzo è stata tesa, forse addirittura un incubo, con il rischio di trovarsi sì a Palazzo Chigi e con i sondaggi in poppa ma con due Regioni perse lì dove Fratelli d’Italia aveva in qualche modo imposto il suo candidato. Non è andata così. L’inciampo Truzzu viene cancellato dal successo di Marco Marsilio, meloniano doc, dato per possibile sconfitto ma riconfermato per altri cinque anni alla guida della Regione Abruzzo.
I risultati non lasciano dubbi né molto spazio alle analisi politiche. Il centrodestra vince e convince: Marsilio incassa il 53,5% dei voti contro il 46,5% del rivale Luciano D’Amico. Nessuno spazio per riconteggi, rimonte, pareggi. Al comitato elettorale del presidente uscente si festeggia a spumante già nella notte e per una lunga serie di motivi. Per il pericolo scampato, intanto. Ma anche per i risultati del partiti: FdI si attesta oltre il 24%, una ventina di punti sopra le regionali del 2019 e poco sotto la soglia del 27% raccolto alle politiche in terra Aquilana (ma oggi c’è da considerare anche il 5% della lista Marsilio). Non è un caso se Meloni esulta e parla di “grande orgoglio”. Cresce anche Forza Italia, che dal 9% di cinque anni fa arriva al 13,2%, due punti sopra anche alle politiche. La cura Tajani sembra funzionare. Meno bene solo la Lega di Matteo Salvini, forse l’unica nota negativa di una nottata da incorniciare: il Carroccio cala al 7,62% rispetto al 27,5% del 2019 ma soprattutto meno anche dell’8,1% del 2022. Salvini minimizza, ma la nota mattutina è striminzita: “Netta vittoria del centrodestra, con un buon risultato per la Lega. Grazie Abruzzo, avanti col buongoverno per altri cinque anni!”.
In vista delle europee di giugno, comunque, la coalizione di governo tira un sospiro di sollievo grosso come una casa e conferma quanto emerso dalla Sardegna: se l’alleanza è unita, se si sceglie il candidato giusto, se tutti indossano “l’elmetto”, come fatto dal premier negli ultimi 10 giorni di campagna elettorale, la distanza dalle opposizioni è ancora importante. Quale che sia la formula di “campo” (largo, medio, ristretto) che questi propongono.
Notte da dimenticare, infatti, per Elly Schlein e Giuseppe Conte. Primo motivo: in Abruzzo il centrosinistra si era presentato nella variabile di “campo” più larga possibile, includendo il Pd, il M5S, la sinistra ma anche Azione. Non è andata bene e il risultato riporta indietro le lancette per gli illusi dalla Sardegna. Carlo Calenda ha già fatto sapere che lo schema non si potrà ripetere ovunque, men che meno a livello nazionale, ma pure nelle elezioni locali il gran minestrone progressista non sembra funzionare sempre. Una Todde non faceva primavera e un D’Amico non significa inverno, ma alcune riflessioni andranno fatte. Le divergenze tra Schlein e Conte esistono, soprattutto in politica estera, quelle con Calenda sono insanabili, e senza allargare ad Azione il “campo” – dicono i sondaggi – le possibilità di scippare Palazzo Chigi a Meloni sono ridotte al lumicino. E poi: chi sarà il leader di questa coalizione? É facile immaginare che, chiuso il capitolo Abruzzo, le tribolazioni inizieranno sin dalla scelta del candidato in Basilicata. Dove non sono state ancora sciolte le riserve e le tensioni si acuiscono.
Giuseppe De Lorenzo, 11 marzo 2024
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