Politica

Accordo al Parlamento Ue, l’allarme sul green e il bottino dei meloniani

Spunta il “patto di massima” tra i gruppi parlamentari europei. Cosa ci dicono le spartizioni delle alte cariche dell’Eurocamera

Meloni nomine Parlamento Ue © Yaroslav Danylchenko tramite Canva.com

Non sarà ancora il patto definitivo, ma ci siamo. O quasi. Da Strasburgo trapela l’elenco dell’accordo di massima sui presidenti delle Commissioni che andranno ad animare il prossimo parlamento europeo. Direte: roba di poco conto. Invece no. Perché il patto sui questi ruoli apicali nell’Europarlamento possono dare indicazioni anche su come si comporrà la maggioranza che sosterrà Ursula von der Leyen il prossimo 18 luglio.

Ad oggi, dopo le elezioni Europee, il gruppo parlamentare più rappresentato è il Ppe. Subito dopo vengono Socialisti. E in terza posizione il neonato gruppo dei “Patrioti” di Viktor Orban, Matteo Salvini, Vox e Marine Le Pen. Lo stravolgimento “a destra”, che ha tolto un po’ di peso ai Conservatori di Giorgia Meloni, può avere anche l’effetto di “avvicinare” in qualche modo l’Ecr a Ppe e Socialisti, favorendone se non l’accordo esplicito almeno una desistenza al momento della fiducia.

Anno scorso il Parlamento aveva alzato il muro del “cordone sanitario” non solo contro Identità e Democrazia, il vecchio gruppo dei lepenisti e dei salviniani, ma anche contro l’Ecr. Ora resta da capire se questa formula verrà replicata o se, stante l’addio di Vox, i Conservatori verranno considerati nel novero delle forze politiche da tenere in considerazione. Nell’ultima legislatura, solo a metà mandato l’Ecr riuscì ad eleggere un suo vicepresidente grazie all’appoggio del Ppe. La manovra dovrebbe ripetersi.

Confermato invece il “cordone” anti orbaniani. Il presidente e capogruppo del Ppe Manfred Weber ha spiegato che “è chiarissimo che chiunque venga eletto dai popoli europei deve avere l’occasione di lavorare qui nel Parlamento Europeo come membro eletto” ma “un’altra questione  è chi rappresenta le istituzioni: e coloro che vanno contro il progetto e le istituzioni europee, come Viktor Orban, che ha detto pubblicamente di voler smantellare il Parlamento Europeo, non possono rappresentare il Parlamento Europeo come istituzione. È per questo che noi rispettiamo gli individui, il fatto che abbiano la possibilità di interagire e di lavorare, ma quando si tratta di ottenere una carica, bisogna rispettare l’istituzione ed essere a favore della stessa”.

In tutto parliamo di 24 commissioni: secondo l’accordo raggiunto tra i gruppi, che andrà confermato giovedì alla conferenza dei presidenti dei gruppi, Il Ppe, il gruppo più numeroso, si sarebbe aggiudicato sette commissioni: Industria ed energia (Itre), Affari esteri (Afet), Agricoltura (Agri), Controllo dei bilanci (Cont), Pesc (Pech), Affari costituzionali (Afco). Ai socialisti di Elly Schlein ne andrebbero invece cinque: Ambiente (Envi), Commercio internazionale (Inta), Sviluppo regionale (Regi), Affari economici e monetari (Econ), Diritti delle donne e eguaglianza di genere (Femm). Se non verrà alzato il cordone sanitario, i “Patrioti per l’Europa” dovrebbero ottenere la commissione Trasporti (Tran) e la Cultura (Cult). All’Ecr invece ne spetterebbero tre: la presidenza della Bilanci (Budg) e della Libertà civili (Libe) e petizioni. Tre anche ai liberali di Renew, con le commissioni Sviluppo (Deve), Affari legali (Juri) e Difesa (Sede). Infine: ai Verdi andrebbero il Mercato interno (Imco) e i Diritti umani (Droi) mentre alla The Left di Ilaria Salis la commissione Lavoro (Empl) e Affari fiscali.

Va detto che il presidente di ogni singola Commissione è una carica elettiva. Quindi deve riuscire ad ottenere il voto degli Eurodeputati e non è escludo, come già accaduto, che certi nomi possano non passare le force caudine dell’elezione.

Cosa ci dicono però queste spartizioni? In prima istanza, che con ogni probabilità alla fine l’Ecr sarà dei giochi. Inoltre, va sottolineata la (brutta) notizia che vorrebbe la Commissione ambiente nella mani dei socialisti. Basti pensare che la “maggioranza Ursula” che ha messo in piedi il Green Deal non era appoggiata dai Verdi, dunque i veri genitori delle ecofollie sono proprio i socialisti di S&D. Non a caso, è stato il Partito socialista europeo a indicare Frans Timmermans come primo vicepresidente con la delega al clima.

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