A sorpresa, ma non troppo, Israele e gli Emirati Arabi Uniti hanno annunciato l’apertura a breve delle relazioni diplomatiche che porteranno a una normalizzazione dei rapporti fra le due importanti nazioni nello scacchiere mediorientale. La cosa, effettivamente, da un po’ di tempo era nell’aria.Le prime avvisaglie si erano avute già diversi mesi fa con le notizie di incontri fra esponenti politici e della sicurezza israeliani e emiratini, incontri che avevano fatto da apristrada alla concessione dei permessi di ingresso a Dubai rilasciati ad alcuni businessman israeliani che hanno avuto la possibilità di gettare le basi per future relazioni d’affari una volta che le due nazioni avessero raggiunto un accordo per la normalizzazione. Altro segnale importante era stato il permesso di far atterrare in più occasioni degli aerei della Etihad Airways, la linea aerea di bandiera degli Emirati, che portavano aiuti per la popolazione palestinese, aiuti inizialmente rifiutati perché passati attraverso Israele, ma questa è un’altra storia. Il primo aereo atterrato era completamente bianco, ma già dal secondo trasporto si era tolta la foglia di fico e gli aerei atterrati in Israele avevano la livrea della compagnia, con i fotografi presenti nello scalo israeliano che poterono addirittura entrare nella cabina di pilotaggio.
Molto importante è stata anche la collaborazione sotterranea fra Gerusalemme e Abu Dhabi nel momento in cui le due nazioni si sono trovate a dover precipitosamente acquistare apparati medici e medicinali per fronteggiare la pandemia di Covid-19. In quel periodo addirittura Yossi Cohen, il direttore del Mossad, i servizi segreti dello Stato Ebraico, aveva fatto la spola per incontrarsi con esponenti emiratini e coordinare con loro l’acquisto e l’importazione urgente di quegli apparti così necessari per fronteggiare l’epidemia imminente. Nonostante tutto questo le relazioni formali, per intenderci quelle alla luce del sole, sono state annunciate solo ieri sera dopo una telefonata a tre fra il Premier israeliano Netanyahu, il principe Bin Zayed reggente degli Emirati e il Presidente Usa Donald Trump. Il merito di questo successo va proprio al Presidente Trump, che con pazienza certosina ha lavorato dietro le quinte al fine di raggiungere quest’accordo che, oltre ad essere storico, ha in sé anche grandi potenzialità. Altre nazioni arabe, infatti, sulla scia di questi accordi, possono ora rompere gli indugi e aprire relazioni diplomatiche con lo Stato Ebraico.
In queste ore si parla già di Oman e Bahrein, speriamo che si passi presto dalle parole ai fatti. Non bisogna dimenticare che lo scacchiere mediorientale è sicuramente il più delicato al mondo, e le nazioni che lo compongono sono sempre molto attente a ciò che succede anche in posti lontani. Detto questo è inutile nascondere che non solo Israele ha paura dell’Iran con la bomba atomica, anche i paesi arabi sunniti, specialmente quelli che si affacciano sul Golfo Persico temono l’Islam sciita con l’arma definitiva. Siccome Israele è l’unica nazione che ha sempre contrastato questa corsa al riarmo nucleare di Teheran, ed è probabilmente l’unica che ha la forza e la tecnologia se non per fermare almeno per rallentare il programma degli Ayatollah, per assurdo lo Stato Ebraico, come più volte ammesso sia apertamente che in sordina dagli stessi arabi sunniti, è diventato, insieme agli Usa, l’alleato naturale non solo per fermare una tragedia annunciata, ma anche, assurdo nell’assurdo, per raggiungere la pacificazione dell’area. Cosa che fino a poco tempo fa era impensabile, ma che per chi vive in Medioriente, come chi scrive, è musica dolce da ascoltare al di là delle ideologie politiche che da troppo tempo fanno i loro interessi sulla pelle di chi vive in questo angolo di mondo.
Bisogna tenere presente che a piazza della Palestina a Teheran c’è ancora un orologio che segna il tempo a ritroso fino al momento in cui Israele sarà distrutta: così come citato dalla “profezia di Khomeini”. E i sunniti sanno bene che se la profezia dovesse avverarsi, il giorno dopo si aprirebbe davanti a loro l’inferno di una nuova guerra islamica generalizzata, una di quelle che riempiono i libri di storia dell’Islam. Per questo i più illuminati hanno capito che è giunto il tempo del pragmatismo, è giunto il tempo di non ascoltare più i cattivi consiglieri, è giunto il tempo di abbandonare le adunate oceaniche e di pensare a un futuro che non debba necessariamente essere a mano armata. Israele per il momento congela il piano di pace Usa che prevede il riassetto di alcune zone della Cisgiordania sotto il suo controllo e così facendo dimostra di credere a questo momento storico che non è meno importante della visita di Sadat a Gerusalemme del 1977 e della pace firmata con Re Hussein di Giordania nel 1994. Inutile dire che il mondo arabo è spezzato in due da questa novità e agli auguri arrivati dal Cairo, si contrappongono le reazioni negative di Hamas da Gaza e dell’Anp di Abu Mazen da Ramallah. C’era da aspettarselo visto che per quelle due organizzazioni tranne che la distruzione di Israele non andrà mai bene nient’altro.
Quello che sinceramente lascia sconcertati è il silenzio o il semplice mormorio dei pacifisti in servizio permanente effettivo che di quest’accordo sono riusciti a vedere solo i difetti. Forse perché secondo il loro punto di vista se una pace è figlia di un Presidente repubblicano, di un Premier di centrodestra e di un Principe monarchico, quella pace non ha diritto di cittadinanza e il bicchiere riempito a metà per loro, ma solo per loro, è mezzo vuoto. In ogni modo in Israele, sull’onda della bellissima notizia, già si pensa, Covid permettendo, ai viaggi verso Dubai… e di ciò che pensa certa gente a proposito del bicchiere mezzo vuoto se ne fanno sicuramente una ragione.
Michael Sfaradi, 16 agosto 2020