Rassegna Stampa del Cameo

Achille K., o Kafka ai tempi del Ceo capitalism - Seconda parte

Lui ne complica sempre di più la trama, per cercare di risolverlo in sempre minor tempo. E ogni volta ci riesce. Passo dopo passo sta diventando un autore kafkiano. Ho provato tenerezza per lui quando ha dedicato il romanzo a Franz Kafka. Alla consegna del manoscritto l’ho visto felice, come si fosse sgravato di un peso. La storia che 50 anni fa l’aveva eccitato, mi ha confessato, ora non gli interessa più, peggio se ne vuole liberare. Come fu per Ernö Rubik con il suo cubo. Ma, se lo conosco, sono convinto che presto cambierà idea, lo vorrà indietro, per aggiungere un verbo, una locuzione, un paragrafo.

L’hotel Negresco, la trama, i quattro colpi di scena in successione che connotano il romanzo, permettono di approfondire l’anima dei personaggi e l’anima dei luoghi. Sono tutti simil kafkiani. Geniale l’idea dei due «Castelli» (è Kafka in purezza), ove la storia si snoda. Uno di una sconosciuta «Società», di cui nulla si sa, né come tipo di business, né come dimensioni, né dove sia ubicata, l’altro di una non meglio identificata «Procura.» I famosi Quattro non sono descritti come singoli, ma presentati a mò di ente burocratico con tratti umanoidi, solo e sempre come minaccia procedurale alla libertà. Sullo sfondo l’autore, sfocato nel suo pallore, pensoso, ricorda quello che George Simenon chiamava homme tout nu. Per la desolante solitudine che lo percorre sembra vivere nel quartiere di Boston, ove un tempo c’era il Drug Store di Edward Hopper.

E se Achille K. non fosse uno scrittore, ma un poeta che sogna di essere un imputato a vita? Si sarà mica innamorato del contesto giudiziario, del Palazzo, dei magistrati, dei cancellieri, dei burocrati giudiziari, dei suoi muri, dei suoi odori? E di lì non vuole uscire? È terrorizzato di andare in galera, ma vorrebbe passare le sue giornate nel Palazzo della Procura a leggere fascicoli, a copiarli, come gli studenti di pittura fanno agli Uffizi. Per poi tornare a casa ogni sera. Sono passati quasi 50 anni da quando dice che i fatti si svolsero, e iniziò la storia. Quasi 40 da quando iniziò l’inchiesta, il processo e la successiva sua condanna. Pochi mesi, invece, da quando Achille K. ha deciso di non chiedere la riapertura del processo, che avrebbe ottenuto con estrema facilità, e di conseguenza sarebbe stato riabilitato agli occhi del mondo. Non certo per sfiducia verso la magistratura, anzi nel romanzo essa appare impeccabile.