Anche i magistrati, come lui, vengono gabbati dai Quattro, ma non se ne accorgono. Così lui preferisce uscire di scena da colpevole certificato, vivere nei suoi amati interstizi, piuttosto che convivere con questo tipo di mondo, ulteriormente peggiorato, con l’arrivo, proprio 30 anni fa di quello che lui chiama «l’oscenità del politicamente corretto», descritto come fosse un’ideologia nazicomunista. Avvicinandosi al fine vita, può permettersi queste scelte libertarie per età, status, censo. E lui ci sguazza. Comunque Achille K. è un parente di sangue di Joseph K., e si disvela nel penultimo capitolo, quando si materializza nella sua camera da letto addirittura Franz Kafka.
Il grande boemo chiude la vicenda con un ordine esecutivo, al quale Achille K. si adegua, finalmente succube di qualcuno: del suo mito. Finalmente è felice. Comunque non è finita, nell’ultimo capitolo tornano, a modo loro, i Quattro, e il mosaico iniziale della storia si ricompone. Ieri, Achille K. mi ha mandato uno dei suoi tweet criptici: «Difendi la libertà, tu che puoi, così si invertirà il segno della giustizia». Buona lettura.
Riccardo Ruggeri, 15 marzo 2021