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Acqua pubblica, la fake nel contratto di governo

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Un paio di giorni fa il cuoco di questa zuppetta ha ricevuto un comunicato stampa, che qui in stralcio pubblica. «Grazie al lavoro della Lega in Commissione è stato migliorato un provvedimento che ha lo scopo di contrastare il precariato e ridare tutele e dignità ai lavoratori più deboli, ad esempio con l’aumento degli indennizzi per i licenziamenti ingiusti. Abbiamo previsto sanzioni a chi delocalizza dopo aver ricevuto contributi pubblici perché così facendo lasciano in mezzo a una strada i lavoratori e le loro famiglie e dunque è sacrosanto che non vada più riconosciuto loro un solo centesimo. Abbiamo anche risposto alla richiesta delle piccole imprese agricole, turistico alberghiere e degli enti locali reintroducendo i voucher con una regolamentazione stringente, che garantisce il contrasto al lavoro nero, ma anche la flessibilità necessaria per i picchi di lavori stagionali in quei settori. La Lega voterà convintamente a favore».

Così il capogruppo della Lega alla Camera, Riccardo Molinari.

A chi scrive sono cadute le braccia. Va bene la real politik, vanno bene i contratti di governo e le mediazioni, ma se il capogruppo della Lega, grazie ad una piccola modifica sui voucher (bene), vota «convintamente» un decreto che un sindacalista Anni ’70 non avrebbe potuto scrivere diversamente, bè allora abbiamo poche speranze.

Il timore è che anche sulla Tav, i leghisti possano cedere. E di fatto stiamo già cedendo. Valutare, compulsare, verificare, conteggiare, consultare e via dicendo su gare che sono state fatte da anni, benedette da trattati internazionali, vuol dire comprare tempo. Per non fare, ciò che si dovrebbe realizzare speditamente. E a pagare, non vi preoccupate, continueranno ad essere i contribuenti.

Il prossimo fronte, vedrete, sarà quello dell’Acqua pubblica. Un’altra follia colossale: una gigantesca fake news che mise insieme, all’epoca del referendum, un vasto schieramento da Renzi a Grillo, tutti per il sì. In realtà gli italiani con il loro assenso decisero, solo, di dare la facoltà ai loro sindaci di scegliere come meglio gestire l’acqua, anche evitando, quello che era fino ad allora un obbligo, e cioè fare una gara pubblica. Insomma dal giugno del 2011 i sindaci possono gestire direttamente (in house, si dice) l’acqua, ma possono anche fare una gara. Questo ha stabilito il referendum, né più né meno.

Nonostante ciò a pagina 8 del contratto di governo i gialloverdi scrivono: «È necessario investire sul servizio idrico integrato di natura pubblica applicando la volontà popolare espressa nel referendum del 2011». Una cavolata. Il referendum non dice questo, non stabilisce alcuna natura pubblica, attribuisce semmai agli amministratori locali la facoltà di pubblicizzare l’acqua. Pazienza. La realtà, al di là del formalismo, è la richiesta di più pubblico nella gestione dell’acqua.

Se chiedessimo agli italiani, quanta acqua è gestita puramente da privati, le risposte sarebbero invariabilmente: troppa. In realtà solo il 3% della popolazione ha acqua totalmente gestita da privati. Gran parte sono società miste, pubblico privato, e la maggioranza sono proprio pubbliche. Gli italiani consumano 34 miliardi di metri cubi l’anno, 162 bottiglie al giorno. Purtroppo questo fiume immenso di oro blu, viene in gran parte sprecato.

Secondo Utilitalia 39 litri ogni 100 immessi nelle nostre reti si perdono. La nostra rete di acquedotti è vecchia e un quarto è stata posata più di mezzo secolo fa. Ci vorrebbero un mucchio di investimenti per manutenerla e rinnovarla. Chi gestisce l’acqua in genere deve anche controllarla, depurarla, trattare le acque reflue, insomma non si tratta di gestire solo un tubo: le risorse per ridurre le perdite e migliorare l’intero ciclo sono ridottissime.

Ebbene quando si dice acqua pubblica, si dice poco niente. In gran parte già lo è. Il problema è esattamente il contrario, proprio perché la consideriamo pubblica la sprechiamo e la paghiamo relativamente poco. A Berlino un metro cubo costa 6,03 dollari, a Oslo 5, a Parigi 3,91, a Londra 3,66 e a Roma 1,35 euro a metro cubo. È ovvio dunque che l’Italia con i suoi 32 euro per abitante sia di gran lunga il peggiore investitore in infrastrutture dell’acqua. Francia e Germania spendono tre volte (quasi 90 euro pro capite).

Questi dati sono ovviamente pubblici. Chiunque nel settore li conosce. Ma a pagina 8 della Bibbia di governo c’è scritto acqua pubblica, così per credenza divina. E non sperate nel buon senso della Lega, che governa tante di quelle città del nord che proprio grazie alla buona amministrazione hanno fatto miglior uso dell’acqua. «Convintamente» come dice Molinari quanta robaccia voteranno ancora?

Nicola Porro, Il Giornale 4 agosto 2018