Ci sono mille modi per ricordare Carlo Vanzina attraverso i suoi film. Con il fratello Enrico ne ha diretti più di sessanta. Vorrei ricordarne uno non particolarmente famoso, quello con la meravigliosa Virna Lisi che balla con suo figlio in Sapore di mare. Perché in quella scena, in un minuto c’è il vanzinismo. E cioè il modo di raccontare la realtà e i tempi che cambiano con la prospettiva dei signori. Non dei sociologi, non dei politologi, non degli economisti, ma con la prospettiva così rara del gentiluomo. Il ragazzo si vergogna di ballare con la mamma, non per l’età, ma perché i lenti non si ballano più. «Mamma com’era l’epoca tua?». E la Lisi risponde, come sapeva fare solo lei senza sembrare affettata e ridicola: «Mah, era diversa… ma non so, ci batteva il cuore… eh sì, mi sembrava di ricordare che ci batteva il cuore».
L’ultima volta che ho visto Carlo con suo fratello Enrico era a Matrix, più di un anno fa. Li ho voluti a tutti i costi, per celebrare in tv ciò che loro avevano celebrato in una mostra e cioè il loro papà Steno. Abbiamo ballato un lento per quasi un’ora. In cui Carlo ed Enrico si passavano la palla delicatamente. In cui ricordavano Steno, dimenticando sé stessi. Per chi fa il nostro mestiere, cioè in fondo il giornalista, è raro incontrare un Signore. La fama, il successo, la rilevanza per cui i media ti cercano, in genere, non sempre per carità, confligge con il garbo di carattere, con i modi semplici e antichi di un gentiluomo. Carlo era soprattutto questo. La discrezione dei Vanzina (in Carlo accompagnata dalla vitalità della sua fantastica moglie) era ciò che ha permesso loro di raccontare gli eccessi del nostro tempo con tanta pungente precisione.
Non c’è un luogo della ricchezza italiana e internazionale che lui non conoscesse. Perché era nel suo sangue. E per questo ne aveva assimilato i sapori, senza farsi vincere dalle apparenze. Come un signore, ha accettato per anni di essere considerato un regista di serie B, solo perché i suoi film guadagnavano un mucchio di quattrini e non si mischiava al coro dei direttori politicamente corretti.
Un liberale, che ha amato i radicali, con padre malagodiano. Come poteva d’altronde essere accettato dal nostro circoletto Verdurin. Anche se proprio a Carlo, e anche a Enrico, non si può certo attribuire quella magnifica freddura di madame di Guermantes: «Purtroppo nella vita mondana, come in quella politica, le vittime sono così vili che non si può, prima o poi, non perdonare i loro carnefici».
I Vanzina, Carlo, non si sono mai messi nella condizione di vittime, hanno sempre giocato in un altro girone: quello dei gentiluomini.
Nicola Porro, Il Giornale 9 luglio 2018