È inutile criticare: siamo tutti “Adrian”. Certo non tutti abbiamo a disposizione i suoi mezzi, anche creativi, ma Celentano resta ad oggi l’unico artista italiano, ed è tutto dire, capace di usare il mezzo televisivo come ognuno adopera la propria televisione. Cambia canale riuscendo a rimanere sempre sulla stessa frequenza.
Se i contenuti sono sempre quelli – l’ambiente, la cementificazione, il ruolo dell’artista e del cittadino oggi – non è colpa di Celentano, ma è nostra. Siamo noi a non esserci mai spostati oltre dai disegni di Milo Manara, siamo noi ad aver bisogno delle pause di Celentano per scoprire che le nostre ci creano paura. Celentano non fa che reiterare quello che l’ha portato al successo: la mediocrità visionaria di chi ci illude di fare un passo lungo come una chitarra . E pazienza se sia scordata da decenni, pazienza se il disco giri sempre sul solito piatto mondo di argomenti. Celentano si ostina a rivolgersi a un “popolo” che non esiste da tempo: un popolo che un tempo poteva volare in Lambretta cantando la Via Gluck ma che oggi ascolta la musica inglese in playlist sulle autoradio senza capire le parole.
Ogni sorpresa di Celentano è annunciata ma mai realizzata. Sembra che dovesse aprirsi il cielo con questo personaggio animato e invece è la solita passeggiata tra luoghi comuni che, dopo quarant’anni, se non sono cambiati sarà anche colpa di Celentano. Se rimpiangi “lì dove c’era l’erba” dalla Tua villa in Brianza, se Milano la vivi solo come uno “skyline” da intoccabile, se non incontri le persone, il passo si perde, la voce evapora e le idee da universali ti rimangono appiccicate addosso.
Sembra che Celentano, come molti altri cantanti italiani, abbia deciso di passare da “urlatore” a silenzioso ribelle senza fantasia. L’anarchia di Celentano diventa cachet, la sua tele-visione solo un fatto estetico, l’ideazione di un cartone animato che interpreta la sua anima soltanto una sagoma di carta.
Qui c’è un cambiamento radicale che decreta la fine, o un punto di svolta di Celentano: non esiste la censura nel suo programma, ma l’autocensura. Celentano sa perfettamente sino a dove spingersi, sino a dove può denunciare e lì si rifugia senza disturbare. Da Celentano ci si aspetta un colpo si scena, ma sarà difficile assistervi. La sua morte artistica è già inscenata da tempo, con un esilio alla Mina, che però non può permettersi. Celentano regala ai suoi ascoltatori esattamente ciò che vogliono sentirsi dire. In fin dei conti è un Little Tony o un Bobby Solo che al posto delle sagre in piazza usa la televisione per vendere prodotti. Non solo se stesso, ma l’idea che “il treno dei desideri” sia deragliato dove l’azzurro ha lasciato spazio al nero dei ricordi.
Gian Paolo Serino, 26 gennaio 2019