Il balletto sulle politiche green dell’Unione Europea non sembra mai conoscere la parola fine. Dopo lo stop alla vendita delle auto a benzina e diesel, un vincolo che intercorrerà a partire dal 2035, l’ultima eco-follia targata Bruxelles è stata la direttiva green sulle case. Sulla carta non cambia l’obiettivo finale: adeguare il patrimonio immobiliare per la riduzione delle emissioni inquinanti, fino ad arrivare al dato (irraggiungibile) delle emissioni zero entro il 2050.
La direttiva green sulle case
Il Parlamento Europeo ha dato via libera alle disposizioni lo scorso marzo, stabilendo che per gli edifici pubblici e non residenziali si dovrebbe passare dalla classe di prestazione energetica E dal 2027 e la classe D dal 2030; mentre per gli edifici residenziali dalla classe E dal 2030 e quella D dal 2033. Obiettivi a dir poco impossibili, soprattutto se parliamo di un Paese come l’Italia, dove più della metà degli edifici presenti sul nostro territorio è antecedente al 1970.
Ora, però, sono gli stessi Stati membri ad alzare le barriere e, dopo lo slittamento al 7 dicembre dell’incontro definitivo tra Consiglio, Parlamento e Commissione Ue per finalizzare il testo, l’obiettivo sarà quello di cancellare l’armonizzazione delle certificazioni energetiche, dando discrezionalità agli Stati.
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Il tutto sulla base dell’assunto che, dalle colonne di questo sito, abbiamo più volte sollevato: la sostenibilità ambientale deve essere sempre accompagnata da quella economica. Nel giro di 10 anni, infatti, l’Italia avrebbe dovuto rivoluzionare l’intero impianto infrastrutturale ora presente. Un termine a dir poco ridotto, posti gli obiettivi fissati dall’Unione Europea. E ancora, il tutto andrebbe a gravare – sotto il profilo prettamente economico – sulle tasche della popolazione. Per l’ennesima volta.
Aerei green? Servono 5mila miliardi
A maggior dimostrazione del fatto che il mondo green presuppone, sempre e comunque, un gravoso onere sulle spalle dei cittadini è data pure dalla sostenibilità nel trasporto aereo: per azzerare le emissioni nette servirebbero 5mila miliardi di dollari, mentre nel frattempo – in Cina o India – si consuma carbone come se non ci fosse un domani.
La cifra dovrebbe essere sborsata entro il 2050, come affermato dal numero uno della principale associazione internazionale delle aviolinee, Rafael Schvartzman, nel corso del secondo congresso annuale del Patto per la decarbonizzazione del trasporto aereo. A ciò, si aggiunge un’ulteriore problematica non sottovalutabile: il carburante ‘sostenibile’ costa otto volte di più rispetto al jet fuel. Cifre che quindi non possono essere sostenute solo dalle aziende, a meno che non si tratti di letterale “miopia strategica”, come ribadito da Andrea Benassi, direttore generale di Ita Airways.
Sarà poi interessante capire se la politica supporterà veramente questo progetto. O meglio, sarà interessante capire come potrà essere sostenuto. Se la soluzione sarà quella di un aumento della spesa pubblica dei Paesi membri, oppure di un ennesimo aumento di tasse, ecco che ritorneremo al discorso iniziale: chi dovrà pagare il conto? Il cittadino contribuente. E mentre l’Unione Europea (ed il mondo occidentale) rappresenta la parte del pianeta più green al mondo, in Asia non si fanno scrupoli. Insomma, oltra a perdere la battaglia per la sostenibilità (sempre se quest’ultima sia veramente essenziale), perderemo pure quella geopolitica. Non una novità, soprattutto per un Continente che sta scomparendo progressivamente dal tavolo dei grandi.
Matteo Milanesi, 27 ottobre 2023