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Affittare uteri a 68 anni è perverso

L’attrice spagnola Ana Obregon lascia un ospedale di Miami con la bambina in braccio avuta con la maternità surrogata

Ana Obregon ricorre all'utero in affitto, o gestazione per altri, o maternità surrogata, all'età di 68 anni

L’immagine di Ana Obregon ha in sé qualcosa di patetico e insieme demoniaco, rappresenta in pieno lo spiritus mundi: una donna anziana, che vuol sembrare giovane, gonfia dietro gli occhiali scuri, le labbra di un turgore innaturale, a papera le chiamano quelle “labbra”, esce da una clinica o da un bar, non è importante, stringendo un fagottino vivente. Non è la nonna, è la madre. Ma non è la madre, è la “madre surrogata che un giorno, mondati dalle ipocrisie semantiche, capiremo non esistere, sapremo essere la solita menzogna per dire una mamma che non c’è, una che ha comperato un utero e quindi un figlio. Difatti, siamo in Spagna, la politica al potere la fulmina: “Mi è parsa un’immagine dantesca”, protesta fuori dai denti Pilar Alegria, ministro dell’Istruzione e portavoce del Partito socialista del premier Pedro Sanchez: “Questo si chiama utero in affitto, non gravidanza surrogata”.

Il caso Ana Obregon

Lo ripetiamo, attenzione: a parlare così non è un reazionario in odor di fascismo più o meno immaginario, è uno dei socialisti iberici, è il popolo di Podemos, è quella gente lì; la destra, invece, si mostra possibilista e anche questo fa molto zeitgeist, in tutta Europa, in tutto l’Occidente la destra scavalca a sinistra la sinistra nel terrore di restare emarginata, marchiata con la lettera scarlatta, fuori dal senso della storia. Così si legittimano, o almeno si contestualizzano, che è già legittimare, le istanze più discutibili. Dice: non giudicare, tu non sai cosa vuol dire aver perso un figlio ancor giovane di tumore come la Ana Obregon che in Spagna è una celebrità televisiva. E con ciò? Non è fungibile un animale domestico, figuriamoci un figlio.

Per favore, non scherziamo, non giriamo intorno alla faccenda: qui c’è una pretesa superomistica, qui c’è Nietzsche, la morte degli dei con tutto ciò che ne consegue. Ana, la vip, esibisce il suo trofeo come chi può, non “come color che son sospesi” e lo fa scagliandolo in faccia alla legalità. Perché in Spagna queste pratiche sono proibite da quasi vent’anni, e lo restano. Anche da noi, ma i garantisti a senso unico, sempre solo per terroristi, farabutti, assassini, dicono: le leggi sbagliate si violano, si travolgono; e che siano sbagliate lo decidono loro così come che uno sia fascista lo sanciscono loro. A questo punto facciamo a meno di codici, pandette, dottrine, giudici, tribunali.

“Amore” fabbricato su misura

“È arrivata una luce nella mia oscurità, non sarò più sola”. Nelle parole, deliranti e presuntuose, di questa Obregon sta il delirio di chi s’illude: il figlio come medicina, compagnia, distrazione. Redenzione. Secunda vez. Ma l’amore per procura, l’amore fabbricato su misura non è amore. È fuga dalla realtà e dai propri incubi. “Vivo di nuovo” dice la sessantottenne conduttrice televisiva che si lascia riprendere, che cerca, trova i selfie, le telecamere, le interviste, sempre con la faccia della privilegiata convinta di poter pretendere e affanculo le regole, la logica, l’umanità. Vive di nuovo, vive di riflettori e c’è voluto un figlio ordinato, messo in una incubatrice umana, pagato, consegnato. Se questa è vita!

Ana Obregon, un figlio non è merce

La sinistra non la perdona: “Questo è sfruttamento delle donne sulle donne”. C’è qui, in Spagna come, in parte, in Italia, tutta la lacerazione tra la sinistra che non rinnega le sue origini, la sua vocazione, la sua ideologia, se si vuole il suo costume populista in favore dei poveri, delle masse, di antica diffidenza verso il mercato, il consumismo, la reificazione, per i più colti, insomma la sinistra che tiene il punto: un figlio non è una roba, non una merce, non lo fai fare e poi te lo compri, questo è puro mercatismo da colonialismo biologico; e l’altra sinistra, la nuova, molto americana, molto anglosassone e, per derivazione, per emulazione, molto italiana degli arricchiti, dei cafoni che non nascondono il disprezzo verso i poveri e ti basta osservarli a un bar come trattano la camerierina, magari sudamericana e potrei farne cento di esempi, visti coi miei occhi.

Per approfondire

La sinistra delle borse e delle lacrime di coccodrillo, delle ztl, delle auto elettriche, dell’Europa che sta lì per sgranocchiare allegramente i poveri cui impone corvées insostenibili e ai quali ricorda ogni santo giorno che sono sgradevoli, beceri, superati, egoisti, lerci; e che debbono volere, debbono pensare, debbono obbedire, debbono adottare la qualunque e in questo la pratica, aberrante, contronatura dell’utero postal market è un caposaldo, è una delle quinte colonne in funzione destabilizzante.

Il cortocircuito della sinistra

Ana Obregon avrebbe potuto fare tante cose per colmare il suo vuoto d’amore, per illuminare le tenebre che la divorano: darsi al sociale, spendersi per i bambini miseri, adottarne qualcuno o, semplicemente, sublimare il dolore nella comprensione, nella presenza per gli altri. Ha scelto la strada più facile, il miraggio costoso, stringere tra le sue braccia di settantenne un figlio non suo ma che s’intesta, figlio assemblato e poi di mostrarlo con l’impunità del potente. La sinistra, parte della sinistra retorica ma ancora capace di scandalizzarsi, non la accetta. Forse, nel mondo ridotto a circo macabro, abbiamo proprio bisogno di tornare a scandalizzarci, di non vergognarci di scandalizzarci quando ci impongono l’utero in leasing, la pedofilia santificata, l’aborto come prassi, l’eutanasia di puro capriccio (la sofferenza immane del vegetale che si sa tale è altra storia, e va rispettata), il continuo cambio di sesso che bombarda corpo e psiche, che sfocia nella follia stragista. Tutto con nuove parole, con locuzioni ignobili, ma la sostanza non cambia e qui a salvarci sarà forse un senso di miseria, di vergogna trasversale non fra rossi, neri o blu ma fra tutti gli uomini di buona volontà.

Max Del Papa, 30 marzo 2023