Ha voluto tenere il punto l’Agenzia delle Entrate (AdE) sulla proroga del termine di prescrizione. Dopo l’avvenuta cancellazione in sede parlamentare della norma del Cura Italia che aveva tentato di prolungare di due anni i tempi di accertamento, in sede di audizione tenutasi il 22 aprile scorso presso le Commissioni riunite VI e X della Camera, il Direttore delle Entrate ha affermato che i vantaggi derivanti dalla soppressa proroga sarebbero stati a favore dei contribuenti, piuttosto che di Agenzia Entrate. Dato che questo era l’unico modo che avrebbe permesso a questi ultimi di scansare il fuoco di fila che li attende, con 8,5 milioni di atti pronti per essere notificati entro il 31 dicembre 2020.
In realtà, ha rimarcato il Direttore, tali atti sono nel complesso “molti, ma molti di più” se a questi si sommano quelli di intimazione a pagare e le altre azioni esecutive, sempre in scadenza nel 2020. Pertanto, venuta meno la proroga – si è lasciato chiaramente intendere – l’AdE si sentirà al riguardo deresponsabilizzata e rimarranno sulle spalle del Parlamento i paventati rischi di criticità conseguenti alla torrenziale pioggia di notifiche programmate entro il 2020. “Ci tenevo a precisare”, ha ammonito il Direttore, che non è in capo all’AdE che sono rinvenibili problemi di operatività, per cui se ad essa verrà chiesto di procedere in tal senso “noi siamo in grado di farlo”.
Se conosci la realtà sottostante a questa narrazione capisci subito che qualcosa di grosso non torna. Gli 8,5 milioni di atti, ostentati dall’AdE sotto gli occhi dei novelli parlamentari, infatti, in pratica non esistono. Nella maxi-cifra ne vengono conteggiati 4,8 milioni che in realtà – lo dice papale papale la relazione scritta – scadono dopo il 2020. E questo significa che è assolutamente fuori luogo sommarli a quelli indifferibili per legge in periodo Covid-19.
Non solo. Ma l’AdE si spinge al punto da avvertire formalmente il Parlamento che, a seguito della mancata proroga biennale, dal primo giugno 2020, comunque “l’AdE si prepara ad emettere entro il 31 dicembre 2020, circa 8,5 milioni di atti e comunicazioni”. E qui la domanda sorge spontanea: a che pro incaponirsi nel voler a tutti i costi notificare entro questo dicembre 4,8 milioni di atti che – per legge – dovrebbero notificarsi dal 2021 in avanti? La domanda è tremendamente seria anche perché, sottotraccia, agli 8,5 milioni di atti se ne sommano altri 7,5 milioni – stando a ciò che risulta dalla relazione scritta – che portano a un totale di 16 milioni di atti. Si tratta degli atti della riscossione coattiva, questi sì molto più invasivi e pungenti per il contribuente, e comunque da notificare per forza entro il 2020.