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Ah professò Canfora, non ce provà: su Meloni dici fregnacce

canfora

L’è lù, l’è propri lù, el tamburo principal della Banda d’Affori, che comanda cinquecentocinquanta pifferi, che emozione quando fa bum bum. Lo storico, e grecista, e filologo, e autore di penna rigorosamente stilografica, no computer, Luciano Canfora, raffinatissimo, che dava della “nazista nell’animo” a Giorgia Meloni, ostenta intellettuale distacco, perfino fastidio, ma, sotto sotto, gli ruga la prospettiva di dover sborsa un po’ di eurelli in caso di condanna; e, siccome il processo si avvicina, torna a galla, bum bum.

I pifferi sono i soliti di Repubblica, che quando c’è da fare qualche non-intervista da annuario dei santi, si rivelano “sposa e amante impareggiabile”, come l’Adelina di Amici Miei. Nella non intervista, condotta sul mood di Benigni e Troisi che scrivono a Leonardo, “con la testa sotto le vostre scarpe”, l’insigne docentissimo esce un po’ come un pensoso influencer, con tutti i vezzi e le vanità del caso: le sacre memorie resistenziali, “e i fascisti spararono sulla folla”, presto lasciano il passo alla contemporaneità liofilizzata, con non domande ficcantissime tipo “Dove andrà in vacanza?” (risposta, ovvia: “Me ne starò qui a scrivere”. Scrivere, il gesto sacrale, ieratico del pensatore di sinistra).

È un dialogo insidioso, per gli sbadigli che mettono in serio pericolo l’asse mandibolare, se uno poi vuole vivere una vita spericolata, di quelle che dormi, dormi così, si accomodi. Però su un paio di cose bisogna pur soffermarsi, la prima è quando Lucianino, così educato, così carino, cerca di arrampicarsi sugli specchi della Kultura con le ditine unte di olio: nazista nell’animo sarebbe una innocente opinione, addirittura una necessaria catalogazione politica. Ah Professò, nun ce provà: dare a una della camicia bruna non è diffamazione (aggravata): è l’epitome della diffamazione, è da manuale, da codice penale, è la fattispecie più cristallina, rotonda, pulita. Io ho qualche dubbio che, se incontro Canfora per la strada e lo riverisco, “Salute, compagno Berja!”, quello si limiti a un educato scappellamento (a sinistra): minimo, il filologo mi trascina in Tribunale con tutto il sussiego del rango e non mi molla finché non un giudice ovviamente comunista non mi dissoda.

Ma l’altra mandrakata del prof Canfora è ancora più sfrontata, più spregiudicata: egli cita l’unico altro caso di querela ricevuta, vedi caso sempre ad opera di un “attento fascio, che nun ce metto gnente”: il missino Caradonna il quale, definito picchiatore fascista, non ottenne soddisfazione in giudizio. Sta già impostando l’autoarringa, il nostro accademico, però, ancora una volta, nun ce provà ah professò: Canfora sa benissimo che Caradonna non aveva uno straccio di possibilità in quella causa, per la semplicissima ragione che contestare i suoi trascorsi maneschi serviva a niente. Veri o meno che fossero, ma pare proprio che lo fossero, la magistratura degli anni Settanta, anzi “dagli” anni Settanta, andava comunque giù di pala e piccone, aveva invertito l’onere della prova, bastava la voce, bastava che uno fosse notoriamente fascista, meglio se ex repubblichino, e tanto valeva da sentenza annunciata.

Comunque la si voglia vedere, ci corre un abisso tra un’accusa riferita a fatti storici, fatti contestabili ma in un contesto storicizzato e ormai acquisito a prescindere, e una mera, rozza illazione, offensiva, provocatoria, campata per aria. La sinistra, more solito, pretende di ferire, di sporcare con gli insulti più grevi e più disumanizzanti, ma allo stesso tempo pretende la franchigia in base a presupposti di un assai presunto ordine morale. Insomma se lo dico io nessuno può giudicare, se lo dicono a me la pagheranno.

Difatti la nostra coscienza civile e culturale, nonché pedagogo per autonomina (si veda la non intervista), sembra qua e là tradire una sibilante aggressività allusiva, per quanto adeguatamente incartocciata: “Io tendo alla freddezza, perché penso, come Seneca, che l’ira sia una forma transitoria di pazzia”. Uno potrebbe magari vederci un modinoino di dare della scema psicopatica alla solita “nazista nell’animo”; ma senz’altro è la pecca di chi non cena con Seneca e non si alza ogni mattina alle 5,10 spaccate e si corica rigorosamente alle 22,35 (chissà i processi kafkiani se lo fanno sgarrare di un minuto striminzito). Orari e rigori si direbbe sovietici, del resto il nostro eroe ebbe a definire Stalin un benemerito dell’umanità: “Uno statista può essere valutato per quello che ha fatto per il suo Paese. L’opera di Stalin è stata positiva, anche se aspra, per la Russia al contrario di quella di Gorbaciov”. Here we go again, comrade! Poi si duole, recrimina se l’avvocato di donna Meloni lo chiama stalinista.

Ecco, a proposito noi vorremmo suggerire, non richiesti, ma sommessamente, “con la faccia dove Ella sa”, alla signora presidente una cosa semplicissima: se davvero punta a diventare una liberale di stampo – par di capire – neodemocristiano, o neocentrista se preferisce, per prima cosa lasci perdere le querele: “Sei il primo ministro, cazzo!”, come ricordava Hugh Grant a se stesso in “Love actually”. Che poi, la solita faccenda di devolvere in opere sociali la somma a titolo di risarcimento sa tanto di influencer, di Chiara Ferragni; ed è, comunque, aberrante a prescindere. Sia magnanima: tanto nessuno in Italia si berrebbe mai la aulica cazzata della nazista dentro, figurarsi, già in molti fanno fatica a considerarla ancora di destra. Sicura, inoltre, che l’interlocutore valga la pena di una rivalsa? Lasci perdere, e lasci campare il nostro prof. Canfora, che, sempre più somigliante a un cantante country, guarda lontano, così vicino: no, non alla filologia classica, non al sommo padre Dante o, in tempi più accessibili, a Croce, a Gobetti, all’orizzonte della resistenza contro il barbaro invasor: no, lui guarda al processo d’autunno, alla prospettiva di dover sborsare ventimila eurelli, l’unica cosa che atterrisce un comunista, un comunista vero.

Vabbé ah professò, qua è mezz’ora che parlamo e nun amo concluso gnente. Canfora per i compagni, gli antifà, i critici morali, quelli che si compreranno il libro sulla guerra del Peloponneso (daje, che c’è da tamponare!), e per le tarme. E perché no pure le zecche?

Max Del Papa, 9 luglio 2024

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