Aiuti all’Ucraina, chi pagherà il conto del G7

Via libera al prestito da 50 miliardi di dollari in favore di Kiev, ma non si conoscono nel dettaglio i termini dell’accordo

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Il G7 a presidenza italiana ha dato il via libera al prestito da 50 miliardi di dollari in favore dell’Ucraina, ma non si conoscono nel dettaglio i termini dell’accordo, su chi ricadrà l’onere del finanziamento, e per quale scopo verranno stanziati. L’annuncio era arrivato dall’Eliseo nella serata di mercoledì 12 giugno, alla vigilia della riunione del G7 a Bari: “I dirigenti del G7 hanno trovato l’accordo per lo stanziamento di 50 miliardi di dollari in favore dell’Ucraina, attraverso l’utilizzo degli attivi russi congelati. Questo finanziamento avverrà entro il 2024“. E continua l’Eliseo: “È stata un’iniziativa statunitense inizialmente, questo prestito sarà rimborsato con i proventi dei beni russi congelati, ma se per una ragione o per l’altra gli assets russi non dovessero essere sbloccati, o non producessero più il reddito necessario per finanziare tale prestito (cedole, dividendi, etc), allora si pone la questione della ripartizione degli oneri”. Un prestito essenzialmente americano termina l’Eliseo, “ma che può essere integrato con soldi europei o contributi nazionali”.

L’Ue intanto ha già approvato in febbraio un sostegno economico a Kiev di 50 miliardi di euro, sulla falsariga del Next Generation Ue, con 33 miliardi in prestiti e 17 di finanziamenti a fondo perduto. Da parte Usa invece, l’ultimo sostegno è arrivato nell’aprile scorso, con uno stanziamento da parte del Congresso di un pacchetto da 61 miliardi di dollari. Ma di questi, solo 7,85 miliardi andranno direttamente a Kiev, il resto, secondo un rapporto del Kiel Institute for the World Economy, servirà per il ripianamento delle scorte di armi e munizioni delle forze armate statunitensi donate all’Ucraina, per l’acquisto diretto di armamenti Usa da parte di Kiev, e per la gestione e il coordinamento delle agenzie federali e delle operazioni del comando Usa in Europa.

Ma dove si troverebbero gli asset russi necessari al finanziamento del prestito del G7? Secondo il FT ammonterebbero a 260 miliardi di euro, e sarebbero depositati in buona parte (191 miliardi) in Europa presso Euroclear, la più grande società di clearing europea, depositaria di titoli, che regola molte transazioni internazionali di azioni, obbligazioni, derivati, fondi di investimento ed ETF. Si tratterebbe principalmente di titoli di debito pubblico dell’Eurozona denominati in euro appartenenti alla Banca centrale russa. Altri 20 miliardi sarebbero depositati in Lussemburgo e i rimanenti 50 miliardi tra Svizzera, Regno Unito, Canada, Australia e Stati Uniti, questi ultimi ne deterrebbero tra i 5 e gli 8 miliardi.

Sul fatto che gli asset della Banca centrale russa siano denominati principalmente in euro e siano presenti in Europa, si era espressa nel febbraio scorso la Ceo di Euroclear, Livie Mostrey. In un’intervista al FT aveva espresso forti preoccupazioni sulla volontà statunitense di utilizzare tali asset a garanzia del prestito anzidetto, tramite l’emissione di obbligazioni. “Utilizzare i fondi sequestrati sarebbe l’equivalente di una confisca, seppure indiretta, e avrebbe lo stesso effetto destabilizzante sui mercati di una confisca diretta”. E concludeva Mostrey: “Sono fiduciosa che la prudenza e il raziocinio prevalgano, perché la confisca avrebbe un impatto significativo sulla fiducia nel sistema Euroclear, nel mercato europeo dei capitali e nell’euro”.

Per questo motivo alla fine, il compromesso del G7 si è concentrato sull’utilizzo degli interessi, piuttosto che sulla garanzia diretta degli asset russi. Su questo punto, Euroclear si sarebbe mostrata più fiduciosa. Nel 2023 avrebbe già ottenuto 4,4 miliardi di euro da interessi e la previsione sarebbe di ottenerne tra i 3 e i 4 mediamente ogni anno, per ripianare il prestito cartolarizzato dagli Stati Uniti. L’utilizzo di questi fondi ha però esposto Euroclear a un‘infinità di procedimenti legali avviati in Russia, e non solo, anche per asset di società private russe depositate nella stessa società belga. Com’è stato il caso di un gruppo di possessori italiani di bond trentennali Gazprom, che a seguito di un errore da parte di Euroclear (Gazprom non è soggetta a sanzioni), avrebbe chiesto a Bruxelles lo sblocco dei fondi per il pagamento delle cedole.

E i dubbi sull’efficacia dell’utilizzo dei proventi da asset russi coinvolgono anche i tecnici. Yury Gorodnichenko, professore di economia ucraina all’Università di Berkeley (California), citato dalla tv statale tedesca Deutsche Welle, esprime le sue perplessità. Secondo Gorodnichenko, l’Ucraina dall’inizio della guerra ha ottenuto finanziamenti per 297 miliardi di euro. Ma lo sforzo bellico unito alla grave situazione economica del Paese, con un deficit al 20-30% del Pil, la Grecia all’apice della sua crisi del debito raggiunse il 13,5%, necessiterebbe di aiuti per 100-150 miliardi di dollari l’anno. Questo prestito è benvenuto, conclude Gorodnichenko, ma è necessario che questi asset rimangano congelati per 10-20 anni, affinché i loro rendimenti possano coprire il prestito. Ma nel frattempo la guerra potrebbe finire e gli asset russi non essere più disponibili, proprio nel momento cruciale della ricostruzione.

Infine, vi sono le incognite legate all’eventualità che alcuni asset russi vengano scongelati e non siano più disponibili, qualora alcuni Paesi europei (come l’Ungheria) decidessero in futuro di porre un veto al rinnovo semestrale delle sanzioni verso il Cremlino. Fino a pochi giorni fa, secondo un articolo apparso su Politico, sembrava che perfino l’accordo sull’utilizzo degli interessi non sarebbe andato in porto, per l’opposizione di Francia e Germania: “Potremmo essere stupidi, ma non così stupidi da accettare un compromesso dove gli Stati Uniti prendono il prestito, e l’Europa prende tutti i rischi” avrebbe confidato un alto funzionario Ue. Washington non potrebbe garantire il fondo con i soldi dei propri contribuenti, senza dover coinvolgere il Congresso per la ratifica dell’accordo. Per questo avrebbe proposto l’utilizzo dei proventi degli asset russi in Europa e la ripartizione degli oneri in caso di fallimento, tra i Paesi che li detengono.

Friedrich Magnani, 16 giugno 2024

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