Con l’arrivo delle feste di fine anno si ripresenta puntuale il dibattito che contrappone i “consumisti” agli “austeri”. II primi, beneficiando delle condizioni di sviluppo che l’economia di mercato mette a disposizione, vorrebbero spendere i propri soldi (pochi o tanti che siano) a proprio piacimento. I secondi, invece, vorrebbero si tenesse un atteggiamento sobrio e parsimonioso, spegnendo le luminarie e limitando i consumi per avere una vita più austera che, in quanto tale, sarebbe più virtuosa e degna di essere vissuta. Tale comportamento, ritenuto virtuoso, andrebbe poi, a loro dire, diffuso e, là dove possibile, imposto come stile di vita obbligatorio.
La questione è aperta dalla notte dei tempi e coinvolge ideologie politiche, dottrine religiose e, fatalmente, teorie economiche: “Una logica simile anima il dibattito plurisecolare tra gli economisti consumisti e quelli austeri […]. Questa è una querelle nata (ne abbiamo le prove scritte) sin dall’epoca delle guerre tra Atene e Sparta, consumista la prima, austera la seconda, e proseguita lungo il corso dei secoli fino a noi. Nel Settecento francese, per esempio, si schierarono per il lusso Voltaire e i libertini, contro Rousseau e i cattolici alla Fénelon; incerti rimasero gli enciclopedisti e i fisiocrati” (Sergio Ricossa, Dov’è la scienza nell’economia, Di Renzo Editore – 1997).
Nei paesi in cui si è potuta sviluppare una economia di mercato, l’avanzamento tecnologico e l’innovazione hanno consentito alla gran parte della popolazione di migliorare il proprio tenore di vita, affrancandosi dalla povertà e dalle difficoltà di accesso ad istruzione e ad attività artistiche o culturali che nei secoli passati erano precluse ad una vasta percentuale di persone: “secondo i consumisti [….] consumi adeguati alla dignità umana, migliorando la qualità della vita degli umani e le condizioni del loro lavoro, permettono all’umanità di dedicarsi maggiormente e con più facilità a nobili occupazioni: lo studio, la ricerca, l’arte, l’educazione dei figli, l’aiuto ai più deboli. Il mercato in sé non è morale né immorale, sostengono i consumisti, ma è uno strumento al servizio dei consumatori, i quali devono muoversi responsabilmente”. [Ibid]
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A questa visione si contrappone quella di chi ritiene che il consumatore lasciato libero di scegliere rischi di cadere in troppe tentazioni: “Gli austeri, al contrario, ribattono che il mercato utilizza i vizi e le debolezze dei consumatori e che proibire le tentazioni consumistiche giova alla virtù. Questo argomento ha certamente un fondo di verità, ma la sua attuazione concreta si è dimostrata sempre di un’enorme complessità, e credo che si debba diffidare di coloro che, decidendo in vece nostra, ci propongono (o ci impongono) scelte obbligate per rinforzare la nostra virtù. Nella Russia dei Soviet un progetto simile ebbe esiti piuttosto gravi. Inoltre, spesso colui che si arroga il diritto di decidere quali beni vietare, se ne avvantaggia a sua volta a piene mani” [Ibid].
Da qui ad arrivare ad un sistema economico che controlli e decida come, cosa e quanto produrre, il passo è breve: “A causa del pregiudizio di cui abbiamo parlato, dunque, viene apprezzata e considerata conforme al bene collettivo e a quello comune (anche se nessuno sa che cosa esso sia) solo l’attività economica pubblica, mentre si accusa l’attività economica privata di essere organizzata per consentire il libero sfogo della brama di profitto”. [Ibid]
Purtroppo se il decisore è solo pubblico tutto il sistema si distorce: “Nel mercato, infatti, non si riceve nulla senza offrire qualcosa in cambio e ci deve essere una equivalenza dei valori tra ciò che si dà e ciò che si riceve. È nell’economia pubblica che non sempre purtroppo esiste scambio e, se esiste, non sempre risulta equo. Notiamo anzi che molto spesso è proprio l’attività pubblica sede di appetiti di ricchezze e di brame di potere”. [Ibid]
Auguri a tutti coloro che potranno acquistare liberamente ciò che vogliono.
Fabrizio Boonali, 25 dicembre 2023
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