Gli svizzeri il 23 settembre prossimo voteranno un referendum (costituzionale) di iniziativa popolare denominato “Per la sovranità alimentare”, per derrate alimentari sane, prodotte nel rispetto dell’ambiente e in modo equo, i più colti (ci sono anche in Svizzera) “Iniziativa Fair Food”.
Cosa vogliono i promotori? Sostanzialmente che la Confederazione sia garante non solo della produzione indigena di alimenti ma anche, e qui sta l’innovazione, degli alimenti importati, con una garanzia statale che siano prodotti nei paesi di provenienza nel rispetto delle stesse condizioni prescritte in Svizzera.
Come succede spesso, i due organi istituzionali supremi, il Consiglio Federale e il Parlamento, si sono dichiarati contrari a questo referendum popolare. Ecco i numeri: al Consiglio Nazionale 37 sì, 139 no, 17 astenuti. Al Consiglio di Stato 1 sì, 34 no, 7 astenuti. Ovviamente, tutto l’establishment e le élite del paese sono contrari, così i partiti che li rappresentano, non parliamo della stampa e delle tv. Immagino che costoro facciano come me. Per esempio, acquisto solo carne prodotta in Svizzera, la pago il 20% in più di quella importata (Usa, Argentina, Brasile) ma ho la certezza che i vitelli non sono stati dopati con oscene pozioni di antibiotici e di farmaci.
Ciò che ho imparato da questi feroci dibattiti sui giornali e in tv, fra “sì” e “no” è che l’attività d’importazione, per esempio della carne, è molto lucrativa, per questo le lobby contrarie all’iniziativa sono molto aggressive. Gli importatori e i distributori non vogliono essere costretti a controllare la qualità e la sicurezza delle importazioni, a far applicare i principi per la protezione degli animali, etc. Mentre la carne svizzera ha costi di produzione tracciabili molto alti, stante i condizionamenti alle quali deve sottostare, quindi i prezzi per il consumatore sono molti alti, gli importatori lucrano ben più del normale visto che partono da prezzi di mercato internazionali coerenti con il livello qualitativo in essere.
Quindi anche gli svizzeri peccano. Non avevo alcun dubbio, il cancro del Ceo capitalism è arrivato anche qua. Ma l’aspetto che a me interessava di più è stata la scelta delle élite al governo (lo ricordo: liberal-radicali, socialisti, popolari, da sempre, al potere ma con progressiva riduzione delle loro percentuali, come succede in Europa) di come comunicare ai cittadini la loro scelta del “no”. Come si può essere nei fatti contro i controlli di qualità, contro l’importazione di alimenti da fabbriche estere di animali da carne dove lo sfruttamento è diciamo imbarazzante?
Le élite svizzere sono state geniali. Essendo logicamente con le spalle al muro in termini di comunicazione hanno ribaltato l’approccio. Cari concittadini dovete votare “no”, dicono, perché applicando le norme dell’iniziativa popolare per alimenti equi, le classi meno abbienti non potrebbero permettersi questa tipologia di cibo sano ed equo. Incredibile, i benestanti invitano in pratica i poveracci a consumare cibi se non spazzatura, non a norma, privilegiando il prezzo alla qualità, forse alla salute a gioco lungo. Sono curioso di come reagiranno i cittadini, anche se, sulla carta, pare non esserci partita alcuna.
In Occidente gran parte della comunicazione sugli alimenti è rigorosamente fake (i troll non sono russi ma quotati nelle Borse euro americane), in Svizzera, stante il referendum, hanno dovuto quantomeno uscire allo scoperto, ammettendo che i cibi di qualità certificata possono permetterseli solo i ceti abbienti (l’importante era saperlo). Questa è la vera democrazia diretta: referendum popolari q.b. (quanto basta). E ogni volta, comunque vadano i risultati, le oscenità politiche, in questo caso alimentari, quantomeno vengono a galla.
Riccardo Ruggeri, 17 settembre 2018