La guerra degli intellettuali al capitalismo di Alan S. Kahan (edito da Istituto Bruno Leoni) è un libro entusiasmante. Pubblicato una decina di anni fa, resta la bibbia per capire da cosa nasca questa ritrosia degli intellettuali (che Alan Kahan prova anche a definire per circoscrivere il campo) ad accettare il mercato. E per tornare a casa nostra, per quale motivo gli intellettuali pendano tutti a sinistra, per semplificare. Interessante, anche se andiamo fuori tema, è la digressione contenuta nel libro riguardo al fenomeno del fascismo: «Intellettuali, storici inclusi, hanno avuto una certa riluttanza a riconoscere che il fascismo, per il quale non nutrivano simpatia, avesse molte cose in comune con la critica socialista e comunista del capitalismo, con cui invece simpatizzavano». Il fascismo diventa nemico di molti intellettuali schierati, che però non si rendono conto delle comuni basi di critica alla borghesia che entrambi contenevano.
Tornando ai giorni nostri, il vero campo di battaglia tra mente e danaro, si sviluppa su tre fronti: l’antiamericanismo, con la sua declinazione francese, il movimento no global, figlio del primo, e infine con l’ecologismo. È quest’ultima un’analisi molto interessante. Intanto per la critica alla dottrina di Mill, e al suo stato stazionario, in fondo il primo ecologista della storia del pensiero. Il saggio continua con un’analisi eterodossa del movimento ecologista: «Nell’ecologismo coesiste una vena di conservatorismo, una forma di rifiuto conservatore del capitalismo che disprezza la borghesia proprio per il ruolo rivoluzionario che Marx vi aveva intravisto. Questo lato dell’ecologismo è ben compendiato dal “principio di precauzione”.
Una definizione generalmente accettata di tale principio non esiste, eccone un esempio: «Quando un’attività rischia di danneggiare l’ambiente o la salute umana si devono assumere misure precauzionali anche nel caso in cui alcune relazioni causa effetto non siano scientificamente del tutto comprese. In casi simili l’onere della prova ricade su chi propone l’attività». In altri termini il cambiamento è un male fino a prova contraria. La rivoluzione ecologica, a dispetto degli ingenti cambiamenti di cui è fautrice, è formulata in termini conservatori. L’ottica ecologista privilegia nelle faccende umane la riduzione del rischio, laddove i capitalisti sono dipinti come rivoluzionari esasperati resi ciechi al rischio dalla loro sete di profitto.
Una delle ragioni del successo degli ecologisti è, paradossalmente, il suo evocare l’istinto più conservatore di resistenza al cambiamento. Il libro di Alan Kahan è pieno di questi paradossi, di ragionamenti fuori dall’ordinario. È una denuncia articolata e mai offensiva dell’abuso della ragione che certi intellettuali, per la maggior parte anticapitalisti, hanno perseguito negli ultimi secoli.
Nicola Porro, Il Giornale