Albania, il costituzionalista ribalta tutto: “La Corte Ue? Non era tana libera tutti”

Il Corriere “nasconde” l’intervista. Ma la tesi di Cesare Mirabelli appare chiara: i magistrati hanno preso un bidone?

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Il costituzionalista Cesare Mirabelli, presidente emerito dell’alta Corte, critica il dispositivo firmato dai giudici di Roma che hanno di fatto bloccato il trasferimento di 12 migranti nei centri in Albania costruiti dal governo italiano. Il parere di Mirabelli è, anzi sarebbe, di grande rilievo. Oseremmo dire anche una notizia da prima pagina. Ma il Corriere – chissà come mai – preferisce nasconderla in un minuscolo box di pagina tre, titolandola peraltro a “favore” dei giudici quando il noto giurista dice l’esatto contrario.

Piccolo riassunto del “caso Albania”. La scorsa settimana le navi della Marina italiana recuperano un gruppo di migranti al largo delle nostre coste, portano in Italia donne, bambini e “vulnerabili” e selezionano gli uomini adulti provenienti da un gruppo di “Paesi sicuri” (stabiliti tramite decreto ministeriale). Una nave apposita preleva questi 16 immigrati e li porta in Albania dove viene realizzato un primo screening (4 vengono subito rispediti in Italia perché minorenni o vulnerabili) per poi portare gli “ospiti” nel centro di Gjader. Qui avrebbero dovuto attendere la rapida analisi della loro domanda di asilo, con relativa accoglienza nel Belpaese o espulsione. Piccolo problema: il Tribunale di Roma, sezione immigrazione, con diversi decreti fotocopia (firmati tra gli altri da Silvia Albano) non convalida il trattenimento degli immigrati provocandone così il ritorno al Cara di Bari. Fine della storia.

Torniamo allora a Mirabelli. Mentre diversi giuristi hanno definito palesemente errate le conclusioni dei magistrati romani (leggi qui e qui), oggi il presidente emerito della Corte Costituzionale si muove con passo più felpato. E in stile democristiano annuncia che “sia il governo che i magistrati hanno in parte ragione in parte torto”. Però poi a leggere bene l’intervista si capisce che ritiene se non “abnormi” (cit: Nordio) quantomeno esagerati i decreti firmati dai giudici romani. Il governo, sostiene Mirabelli, ha infatti ragione nel dire che spetta a lui “indicare i Paesi sicuri: lo Stato ha le rappresentanze diplomatiche che possono rappresentare al meglio la situazione”. Ma soprattutto aggiunge che “quella definizione” di Stato sicuro “non è superabile: non può ritenersi insicuro un Paese che tabellarmente è tra i sicuri”. E i giudici? “Devono attenersi alla lista“, prima cosa, poi certo “hanno anche il dovere di valutare se ci sono condizioni particolari che fanno trovare la singola persona in difficoltà”.

Ed arriviamo alla famosa sentenza della Corte di Giustizia europea che i magistrati romani hanno ritenuto vincolante, utilizzandola come clava per abbattere il patto siglato da Edi Rama e Giorgia Meloni. Sintesi: i giudici europei erano stati chiamati a giudicare il caso della Repubblica Ceca dove un cittadino moldavo aveva presentato domanda di protezione, rifiutata in un primo momento. Secondo la Corte ue, il diritto dell’Unione non consente di considerare “sicura” solo “una parte del territorio del Paese terzo interessato“: avendo la Moldavia al suo interno la regione della Transnistria, non può essere considerata interamente sicura. Il Bangladesh e l’Egitto, paesi di provenienza dei migranti portati in Albania, non hanno tuttavia “parti” di territorio assimilabili al caso della Transistria. Eppure per i giudici di Roma il principio enunciato dalla Corte Ue va applicato non solo da un punto di vista “geografico” ma anche relativamente a determinate categorie di persone che in quello Stato potrebbero subire discriminazioni. Da qui la valutazione “d’ufficio” sulla “insicurezza” di Egitto e Bangladesh.

Interpretazione corretta? Non secondo Mirabelli. La sentenza della Corte Ue, dice, “non era un tana libera tutti: non imponeva ai Paesi europei di stracciare le proprie norme”. E allora? “Diceva – aggiunge – che, nel caso di un Paese spaccato da un conflitto interno che rischia di diventare conflitto in armi, come la Moldova con la Transnistria, va valutato se c’è un’insicurezza speciale della singola persona. Può essere l’appartenenza a una fazione politica o a una minoranza etnica, religiosa o di orientamento sessuale. Ma va accertata con prove. E non rende tutto il Paese non sicuro”. Ok?

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