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Albania, lo strano cavillo dei giudici. “Paesi non sicuri? Sì, ma non impedisce il rimpatrio”

Nuovamente sospeso il trattenimento dei migranti nel centro di Gjader, poi la precisazione sulle espulsioni. Qualcosa non torna

giudice Bologna decreto governo paesi sicuri © pixelshot tramite Canva.com

Un altro stop da parte dei giudici sui trattenimenti dei migranti in Albania, prosegue la crociata della magistratura politicizzata. In base alla sentenza della sezione immigrazione del tribunale civile di Roma di ieri, i sette migranti trasportati nel Paese di Edi Rama nella giornata di venerdì potranno lasciare il centro di Gjader. I trattenuti infatti provengono dall’Egitto e dal Bangladesh, Paesi considerati non sicuri. Per uno di loro, dato lo stato di fragilità, è stata invece disposta la permanenza in un Cpr Italiano. Anche in questo caso le toghe hanno rimandato la palla nel campo della Corte di Giustizia Ue, che il prossimo luglio scioglierà il nodo sui criteri con cui un Paese può essere considerato sicuro.

Il provvedimento oggetto di convalida era stato emesso dalla questura di Roma, ma il tribunale capitolino – replicando la prima decisione di metà ottobre – ha nuovamente stabilito l’alt in attesa del pronunciamento della Corte di giustizia europea su quattro quesiti e in generale sulla validità dell’elenco dei Paesi sicuri redatto dall’Italia, questione già sollevata in precedenza dal tribunale di Bologna. Quello di Catania, invece, è andato oltre, disapplicando il decreto in quanto incompatibile con il diritto europeo.

Ma attenzione alla supercazzola. Nella nota diffusa dalla presidente della sezione immigrazione del tribunale civile di Roma, Luciana Sangiovanni, si specifica che “i criteri per la designazione di uno Stato come Paese di origine sicuro sono stabiliti dal diritto dell’Unione europea. Pertanto, ferme le prerogative del legislatore nazionale, il giudice ha il dovere di verificare sempre e in concreto – come in qualunque altro settore dell’ordinamento – la corretta applicazione del diritto dell’Unione, che, notoriamente, prevale sulla legge nazionale ove con esso incompatibile, come previsto anche dalla Costituzione italiana”. E arriviamo al capitolo degli Stati non sicuri e dei rimpatri, un passaggio che certifica come un cavillo possa essere utilizzato per fare la guerra a un governo di colore diverso dal rosso.

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Ecco il passaggio incriminato: “Deve essere chiaro che la designazione di Paese di origine sicuro è rilevante solo per l’individuazione delle procedure da applicare; l’esclusione di uno Stato dal novero dei Paesi di origine sicuri non impedisce il rimpatrio e/o l’espulsione della persona migrante la cui domanda di asilo sia stata respinta o che comunque sia priva dei requisiti di legge per restare in Italia”. Quindi ricapitoliamo: con questa storia dei Paesi sicuri svuotano il centro in Albania, ma teoricamente è possibile rimpatriare i migranti in qualunque Paese, anche se questo fa parte della lista dei Paesi non sicuri. Sì ai rimpatri ovunque, ma guai a utilizzare il centro albanese. Il buonsenso non è di queste parti, poco ma sicuro.

Sembra quasi legittimo dubitare dell’imparzialità di certi provvedimenti, perché finiscono per contraddirsi da soli. Una cosa è sicura: le toghe sono riuscite a mettere i bastoni tra le ruote al governo. E così sarà fino al pronunciamento europeo. Senza dimenticare che non si tratta di un decreto razzista o disumano, considerando il livello dei centri costruiti. E soprattutto senza dimenticare che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, guardiano della Costituzione, ha firmato quei decreti senza battere ciglio. Sul fatto che questo sia uno scontro politico e non giuridico non ci possono essere più dubbi.

Franco Lodige, 12 novembre 2024

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