Giustizia

Albania, Nordio spiega l’errore del giudice: “Ha capito male”

Il Guardasigilli interviene dopo la decisione del Tribunale di Roma sui migranti in Albania

© shironosov tramite Canva.com

Correva l’anno 1992, e il Belpaese si accingeva a spalancare allegramente le porte all’avvento di quel populismo giudiziario protagonista indiscusso di quest’ultimo trentennio. È infatti proprio da lì, dall’infame stagione che fu Mani pulite, che ebbe origine l’abnorme squilibrio tra poteri dello Stato a cui oggi impotenti assistiamo. In questo senso, Tangentopoli rappresentò il vero punto di svolta: da lì ebbe infatti inizio il rapporto di subalternità del potere politico a quello giudiziario, e, conseguentemente, lo strapotere della Magistratura sui governi espressione del consenso popolare.

Quello stesso strapotere che da trent’anni a questa parte spinge i giudici a sentirsi investiti del ruolo di arbitri in terra del bene e del male che li porta puntualmente a volersi sostituire ai politici democraticamente eletti e a indirizzare l’azione dei governi. Un po’ come accaduto in queste ultime ore con la questione migranti-Albania. Un esecutivo supportato da un ampio consenso popolare stabilisce, giusto o sbagliato che sia, di seguire una determinata linea per quanto concerne le politiche migratorie attraverso procedure di esternalizzazione dei flussi, incanalandosi peraltro in una direzione ampiamente condivisa da una larga parte dei partner europei.

Di tutta risposta la Magistratura cosa fa? Come spesso e volentieri accade si mette di traverso, emanando una sentenza chiaramente politica mirante a correggere la linea del governo indirizzandola verso soluzioni gradite ai giudici. «La sentenza della Corte Ue non è stata disapplicata da noi, ma male interpretata dai nostri giudici. La definizione di Paese sicuro non può spettare alla magistratura, ma è una valutazione politica pur nei parametri del diritto internazionale», ha puntualizzato il Guardasigilli Carlo Nordio, parlando a Repubblica. Insomma, ancora una volta il potere giudiziario ha sconfinato, sostituendosi illegittimamente a quello politico.

«Non ci saranno diktat sui Paesi sicuri ma è certo che non spetta alla magistratura conferire questa patente, e la sentenza della Corte dice proprio che è compito dello Stato» ha proseguito il ministro. Che fare dunque a questo punto? Lasciare che sia la Magistratura a dettare l’agenda politica del governo, oppure prendere le dovute contromisure per evitare di soccombere per l’ennesima volta dinanzi allo strapotere dei giudici? Su questo punto Nordio pare avere le idee abbastanza chiare: “Prenderemo dei provvedimenti legislativi”, ha chiosato convintamente il titolare della Giustizia, aggiungendo infine: “Se il popolo non è d’accordo con quello che facciamo, noi andiamo a casa, ma la magistratura, autonoma e indipendente, non risponde a nessuno e proprio per questo non può assumersi le prerogative che sono squisitamente ed essenzialmente della politica”.

Chiaro, no? E come potere dargli torto del resto. In un Stato che sia veramente democratico, la Magistratura non può e non deve continuare a sostituirsi alla classe politica come avvenuto in Italia da Mani pulite in poi. Avanti tutta sulla direzione dell’intervento legislativo preannunciato da Carlo Nordio, dunque. Un’azione più che mai necessaria per rimettere una volta per tutte a posto le cose e ripristinare l’equilibrio tra i poteri dello Stato andato perduto nel lontano 1992. Guai ad arretrare.

Salvatore Di Bartolo, 20 ottobre 2024

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