Quando sentiamo parlare i talebani del verde sembra non esistano alternative al Green Deal: un piano che richiede sacrifici ma necessario per salvare il pianeta. Solo quelle ricette folli hanno la forza di invertire il trend. E poco importa se l’Europa recita un ruolo marginale, soprattutto rispetto a colossi come Cina e India: l’integralismo green è così. Poi c’è la realtà con cui fare i conti e i numeri smascherano il fallimento della linea talebana. Il motivo è semplice: il consumo globale di carbone è raddoppiato negli ultimi trent’anni. Alla faccia del Green Deal.
Considerato un combustibile super inquinante – anche se protagonista della rivoluzione industriale e nell’Ottocento nessuno si lamentava – il carbone è economico ed efficiente per generare energia. E non sorprende, dunque, se il suo utilizzo è aumentato del 100 per cento rispetto a trent’anni fa. Nel rapporto sul carbone pubblicato dall’Agenzia internazionale dell’energia (Aie), si legge che “è spesso considerato un combustibile del passato, ma negli ultimi tre decenni il consumo globale è raddoppiato”. E i motivi sono piuttosto semplici da intuire.
Se i costi delle rinnovabili sono più contenuti rispetto al passato, tanto da risultare competitive con le fonti fossili, c’è da sottolineare che per fonti intermittenti come sole e vento c’è bisogno di sistemi di stoccaggio e altri impianti di generazione, che ad eccezione del nucleare e dell’idro-elettrico quando c’è bruciano combustibili fossili. Ossia gas o carbone. Come evidenziato dal Sole 24 Ore, il carbone non serve solo nelle centrali elettriche: oltre al carbone termico c’è il carbone da coke o carbone metallurgico, utilizzato per la produzione di acciaio, che è ancora più complesso e costoso da sostituire.
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Se l’urgenza di contrastare il cambiamento climatico con la decarbonizzazione è riconosciuta da tutti, liberarsi di questa materia prima è tutt’altro che facile. Il phase out in Europa e negli Stati Uniti è rallentato vistosamente, segnala il report dell’Aie, mentre la sfida per i Paesi emergenti è a dir poco titanica. La domanda globale nel 2024 ha toccato un nuovo record storico e non si vivrà un’inversione di tendenza almeno fino al 2027. In quell’anno, secondo gli esperti, la domanda non diminuirà ma almeno smetterà di crescere ulteriormente.
C’è grande bisogno energia, questo è lapalissiano. E qualsiasi fonte di energia torna utile, soprattutto se il prezzo è basso. Ci sono altri numeri che certificano questa necessità: dal 1995 a oggi la popolazione mondiale è passata da 5,7 a 8,2 miliardi di persone, mentre il Pil è più che triplicato, passando da 31,1 a 110 milioni di miliardi di dollari. Rispetto a trent’anni fa la Cina non è un Paese arretrato ma una potenza globale che consuma quasi tutte le materie prime – carbone compreso – e punta sulle installazioni di impianti rinnovabili e reattori nucleari.
Ma negli ultimi trent’anni sono più che raddoppiati i consumi di elettricità. Ed è raddoppiata anche la domanda di gas, esattamente sulla stessa scia del carbone. Per quanto concerne il petrolio, la domanda è aumentata di quasi il 50 per cento. Certo, c’è da evidenziare che buoni numeri di crescita li registrano anche le rinnovabili, ma nel 1995 queste erano a livelli irrisori e allo stato attuale non bastano a soddisfare le richieste globali. Per questo motivo la corsa alla decarbonizzazione non può essere uno sprint, ma al massimo una lunga, lunghissima maratona. Che deve vedere protagonisti tutti i principali attori internazionali, non solo l’Occidente. Fino a quando le alternative non saranno sufficienti e non avranno prezzi alla portata, è impossibile immaginare un mondo senza carbone. I soloni del verde si rassegnino.
Franco Lodige, 20 dicembre 2024
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