La composizione della nuova Commissione Europea guidata da Ursula von der Leyen ha finalmente superato le fasi cruciali di negoziazione. Sconfitti gufi, retroscenisti e tifosi della bocciatura del candidato di Giorgia Meloni alla Vicepresidenza. Raffaele Fitto e Teresa Ribera, nonostante le polemiche, saranno confermati nel ruolo scelto da loro per la presidente della Commissione.
La ratifica dei loro incarichi da parte del Parlamento Europeo avverrà stasera. L’accordo è stato raggiunto dopo lungo, normali, negoziazioni. Poi la Commissione nel suo insieme riceverà la “fiducia” dall’Eurocamera il 27 novembre e dal 1 dicembre sarà ufficialmente in carica.
A siglare l’intesa, alla fine, sono stati gli stessi gruppi parlamentari che formano la “maggioranza Ursula”. Quindi Ppe, liberali e Renew. Niente apertura all’Ecr, insomma, come qualcuno millantava. In realtà, l’ingresso dei patrioti nella maggioranza non è mai stato in discussione tanto che né FdI né Giorgia Meloni hanno votato il loro appoggio ad Ursula. Ma una cosa sono le posizioni politiche a Strarburgo, un’altra è il ruolo che spetta all’Italia come Paese fondatore. I due piani sono vicini, ma non sovrapponibili. Il partito del premier di uno Stato può anche non sostenere la Commissione ma al Paese spetta comunque di diritto la nomina di un Commissario, nel caso dell’Italia di peso. Con tanto di vicepresidenza. Non a caso, per Fitto si erano mobilitati Sergio Mattarella, Romano Prodi e pure Mario Monti.
A difendere Fitto nelle negoziazioni ci ha pensato il Ppe, con il capogruppo Weber convinto che con la Meloni e FdI si possa lavorare bene. In cambio, il Pse ha ottenuto un documento programmatico della “maggioranza Ursula” in cui si esclude espressamente l’ingresso dell’Ecr in maggioranza. Cambia poco. Nel senso che al Parlamento Europeo accade spesso che poi i Gruppi si mischino in base ai voti che via via si presentano: non è anomalo che anche all’interno di uno stesso schieramento i parlamentari di Stati differenti votino in maniera distinta, figuratevi cosa può succedere all’interno di una coalizione così variegata come quella che sostiene Ursula von der Leyen.
Non mancano ovviamente i malumori tra i socialisti. I quali, però, se non volevano veder bocciata la “loro” Ribera non potevano far altro che ingoiare il rospo Fitto. Solo stamattina Schlein con qualche imbarazzo aveva spiegato che l’obiettivo dem era quello di “far ripartire i motori” della maggioranza europeista “che a luglio ha votato la presidente von der Leyen”. “Vogliamo chiarire quale è la maggioranza che sostiene questa commissione – aveva spiegato – il problema non siamo noi e non lo erano nemmeno i nomi o le deleghe. Il problema è politico. Perché dall’inizio di questo mandato i popolari in due occasioni non hanno votato con la maggioranza della von der Leyen ma con le destre nazionaliste”. Il Pd ha provato a tirare la corda, che però non si è spezzata. E certo i dem non potevano non seguire le indicazioni arrivate dal Colle.
Forti i mugugni anche dei Verdi, che si riservano su votare o meno la Commissione. Alla fine, verrò promosso anche il commissario ungherese Varhalyi, a cui però verranno tolte le competenze alla gestione delle pandemie e per la tutela dei diritti riproduttivi al commissario designato Oliver Vahrelyi, spostate invece alla belga Hadja Lahbib.
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