Il costo dell’energia è un’emergenza. Che per mesi la politica ha tenuto sotto il tappeto. Prima per il Covid, poi per l’elezione del presidente, ora per Sanremo, sul caro bollette si fanno tante chiacchere e poca sostanza. In maniera goffa il ministro delle infrastrutture Enrico Giovannini ha detto un’ovvietà: non possiamo continuare a fare spesa pubblica all’infinito e dunque per questa via pubblicizzare i sovraccosti energetici.
Peccato che simile rigore non sia stato adottato per centinaia di misure assistenziali che questo stesso governo ha prorogato, e ampliato, tipo il reddito di cittadinanza. In effetti meglio aiutare un ventenne con una mancia, che permettere ad un artigiano di assumerlo o a una fabbrica di continuare a vivere. A gennaio la produzione industriale ha fatto segnare il segno meno: non è la domanda a mancare, ma sono i costi che spengono le macchine. Alcune imprese energivore, quelle che possono, lavorano di fine settimane, quando l’elettricità costa meno, e chiudono in settimana. Ecco, in questo scenario ci si aspetterebbe un governo che invece di pensare alla transizione pensasse pragmaticamente al presente. Facile parlare, difficile governare, potrebbero dire i nostri. E allora, modestamente, facciamo due sole considerazioni di buon senso.
1. I nostri vicini francesi, che ancora hanno in funzione una cinquantina di centrali nucleari, hanno appena stabilito di aumentare la produzione da centrali a carbone. Verranno chiuse come da programma, ma per i prossimi due mesi, dovranno macinare a ritmo più sostenuto per contribuire a tenere sotto controllo i loro prezzi, che peraltro sono più bassi dei nostri. Possiamo fare la stessa identica cosa. Ci vergogniamo di avere la centrale a carbone più avanzata del mondo a Civitavecchia, e a Monfalcone, Fusina, La Spezia e Brindisi, fischiettiamo tenendole praticamente spente. Possiamo anche accettare questi blocchi, basta che imprese e cittadini sappiano che abbiamo fatto una scelta e che tutti la dovremmo pagare.
2. C’è un secondo aspetto ben più strategico. Dovete sapere che l’Europa importa dalla Russia 150 miliardi circa di metri cubi di gas l’anno. La materia prima che è andata alle stelle. Grazie ad un gasdotto che passa più o meno diretto per la Germania e altri, costruiti negli anni ’70, che fanno giri vari, e transitano anche per l’Ucraina. Ebbene c’è un altro tubo, già realizzato, che si chiama «Nord Stream 2» poiché è parallelo al numero uno, che va direttamente in Germania e per questa via in Europa, e che è in attesa di essere autorizzato dalle Commissioni europee. Roba da pazzi. Quel tubo ha una capienza di 55 miliardi di metri cubi. Subito attivabili e che la Russia ha già messo a disposizione. Ma che per motivi autorizzativi europei non abbiamo ancora certificato. Se questo gas arrivasse in Europa, il prezzo crollerebbe in un secondo. Ma l’Europa fa la dura, parla di sanzioni. E chiude un rubinetto, utilizzando peraltro gli altri che aveva costruito durante la ben peggiore guerra fredda. Piuttosto singolare.
Arriviamo al punto. Bene ha fatto Drgahi a parlare con Putin, si attivi a sbloccare il tubo del nord. È l’unico modo per evitare di passare un altro inverno, il prossimo, con le bollette alle stelle e le imprese in ginocchio. I consumatori possono stringere la cinghia e arrabbiarsi, le imprese la cinghia gliela stringono al collo.
Nicola Porro, Il Giornale 7 febbraio 2022