(“Ci sono cose” teorizzava Frank Zappa “troppo assurde per venire raccontate così come sono, hanno bisogno di un supplemento di bizzarrie e di oscenità per essere adeguatamente valorizzate: così nella musica come per ogni altra forma espressiva”. E allora: oggi vi beccate il pezzo zappiano, perché questa è roba che avrebbe mandato fuori di testa il Maestro).
Scànsate Braghettone, anche se agivi per procura, sui nudi di cappella michelangiolesca, scànsate Pio XII coi mutandoni sulle gemelle Kessler, scansàte Grant Wood col tuo American Gothic, scansàteve puritani, vittoriani e scànsate pure tu, Vittorione Sgarbi con le tue “parolacce” al Maxxi: qui è arrivato chi supera le colonne d’Ercole della fobia, dell’occhio malato, della demenza e della decenza: allora, state a sentire: la Federginnastica svizzera ha proibito ufficialmente le foto delle atlete a gambe larghe mentre si producono in gesti atletici. “No alla sessualizzazione per proteggere le atlete dalla diffusione di immagini eticamente sensibili”. Proteggere che? Eticamente che? Quando non sanno cosa dire, abbondano in aria che cammina, il nulla verbale che nasconde intenti malsani.
I fotografi di fronte a un triplo volteggio non possono più cogliere l’attimo, debbono al più cogliere il gomito. Una roba che neppure nella più tetra cortina di ferro si sarebbero immaginati. Le Olga Korbut, le Nadia Comaneci venivano costrette a non-vite da topi in gabbia, ma almeno alla sbarra, al cavallo, agli anelli, le lasciavano in pace. Adesso no: nell’epoca dei grandi portali porno, che fanno più soldi della grande truffa ecologica, hanno bisogno di attaccarsi alle istantanee di ginnaste che volano nel momento supremo. Questo vuol dire proprio essere depravati dentro. Ma dai.
Una follia che, come per tutte le pazzie indotte, non è priva di effetti avversi: se dal gesto perfetto togli la perfezione, se lo oscuri, che ti resta? E perché poi limitarsi alla ginnastica e non passare, che so, al tennis, con quei culetti a fil di gonnellino, al volley, al nuoto sincronizzato, così vezzoso, da sirenetta, a qualsiasi cosa? Ma chi l’ha deciso che un volteggio è conturbante, e va proibito? Ma non c’è un limite, ma possibile che il primo che passa possa dettare regole che in qualsiasi reparto di igiene mentale sarebbero considerate inapplicabili? Questa propensione a salire sul predellino e dettare l’agenda, in totale spregio della democrazia benché in suo nome, comincia ad avere del preoccupante: un giorno proibiscono una vocale, un altro un colore, come nel basso Medioevo, quell’altro ancora una capriola per aria: tipo Bill Gates che si alza la mattina e dice: oscuro il sole, lo faccio per voi.
Scusa, amico mio: ma chi t’ha investito di questo compito titanico, prometeico? Ma perché tutti non si fanno un po’ gli affaracci loro? Che a forza di filantropi e benefattori di questa risma ci estinguiamo, come teorizza apertamente Timmermans, l’eurofolle che cominciano ad isolare perfino a Bruxelles. Come sempre, il paradosso si nasconde nelle intenzioni: non siamo mai stati così saturi di censura proprio mentre ci bombardano con il diritto di avere diritti, di essere quello che vogliamo (e che non possiamo), di esprimerci, palesarci, nessuno ci può giudicare. Poi basta un oscuro funzionario testa di Emmenthal a fulminarci l’attimo fuggente. Ma dai.
In nome della democrazia si censura. In nome della tutela si violenta. In nome dell’espressività si vieta. Cinquant’anni fa, in piena liberazione sessuale, indotta dal rock and roll, si poteva dire fare baciare (quasi) di tutto: come abbiamo fatto a ridurci così, a regredire così? E sono stati, attenzione, gli stessi, quelli di sinistra, i loro discendenti. Autoritari quando pretendevano la distruzione dell’ipocrisia borghese per via erotica, autoritari adesso che vogliono restaurarla vedendo pornografia ovunque tranne dove sta, per esempio ai gay pride, sempre più circensi, sempre meno fondativi. Dirigisti delle emozioni. Gendarmi delle sensazioni. Pubblici ministeri delle intenzioni. Poi, come sempre, le intenzioni ne nascondono altre e ancora meno ammissibili: tutto lascia sospettare che dietro alla millantata tutela “dalla sessualizzazione” si nasconda il dettaglio. Quel dettaglio. Quei 30 cm di dimensione (o ginnastica) artistica, come cantavano Elio e le storie tese.
A questa stregua, abolite direttamente il volteggio al cavallo, così allusivo; e la stessa sbarra, non evoca chissà quali calembour da ginnasiali? Mi sa che la allucinante fotocensura pesca da lì: la commistione, scaduta in confusione, degenerata in percezione, tra maschio e femmina, che neppure un teleobiettivo deve cogliere. Si punta in modo ossessivo al gioco delle tre carte, erculei sollevatori di pesi ascritti alle competizioni rosa, perché chi siamo noi per giudicare chi si percepisce, chi siamo noi stessi per non percepirci? Allora è meglio non specificare che sotto quella tutina si nasconde l’eccesso.
Ecco il punto: vietare all’occhio ciò che si ostenta all’idea, come se in fondo in fondo si fosse consapevoli che nessuna ideologia potrà mai imporsi fino in fondo sulla realtà o che comunque il suo trionfo scatenerebbe nuove tragedie umanitarie identiche a quelle passate. E noi dovremmo adeguarci a tutto questo? In nome di chi: della Confederazione svizzera della ginnastica? Di Ursula von der Vaccinen? Rispondiamo tutti come miss (miss, insomma…) Olanda quando le/gli hanno chiesto se per caso non le sembrasse il caso di rinunciare, come potesse insomma competere al titolo di bellezza: “Col cazzo!”.
Max Del Papa, 12 luglio 2023