“Giù le mani dal corpo delle donne”. Questo il grido delle femministe nel corso delle contestazioni alla ministra Eugenia Roccella agli Stati Generali della Natalità. Tirando fuori scuse di ogni tipo pur di giustificare il bavaglio, le talebane – assistite dai soliti studenti professionisti dei cortei ma con pochi libri aperti – hanno blaterato di aborto (come se in Italia fosse ancora reato) e di autodeterminazione, di Pro Vita ed educazione sessuale. Contestazioni tutt’altro che democratiche, mirate a silenziare “l’avversario”, dimenticando che la libertà di parola è sacra, inviolabile. Ma è la cronaca a fare emergere con forza tutte le contraddizioni del mondo femminista, attento alle quisquilie e muto, in silenzio quando si tratta di protestare per chi è davvero in lotta per la propria libertà. Come le donne iraniane.
La situazione a Teheran è nota a tutti, persino ai sassi. Dalla morte di Mahsa Amini, donne e uomini sono in piazza per protestare contro la dittatura religiosa che attanaglia il Paese da decenni. La repressione è fortissima, con arresti, violenze e vere e proprie esecuzioni. Le ultime drammatiche notizie parlano di almeno sette condanne a morte, incluse quelle di due donne. Secondo l’ong norvegese Iran Human Rights (Ihr), le vittime sono Parvin Mousavi, 53 anni e madre di due figli adulti, e Fatemeh Abdullahi, ventisettenne accusata di aver ucciso suo marito, che era anche suo cugino. Ihr afferma di aver registrato almeno 223 esecuzioni quest’anno, di cui almeno 50 solo nel mese di maggio: una nuova ondata di esecuzioni che spaventa, ma non abbastanza le femministe evidentemente.
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È molto facile scendere in piazza a sparare stupidaggini sul patriarcato dove questo non esiste, mentre sembra più difficile o quantomeno meno conveniente protestare contro quei regimi che considerano la donna come un oggetto da manipolare. Quante femministe da salotto hanno manifestato contro le brutalità subite dalle iraniane? Per tutte quelle giovani ragazze uccise in maniera truculante? O per tutte quelle impiccate al termine di processi tutt’altro che da manuale del diritto. Contestare la Roccella è molto più appagante, forse. O probabilmente si tratta di questione di visibilità: molte manifestanti sono morte di fama e una contestazione alla ministra di destra garantisce i riflettori. Dare sostegno a una causa importante evidentemente no. Ci sarebbe da vergognarsi, soprattutto pensando al femminismo del Novecento…
Franco Lodige, 18 maggio 2024
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