È un libro edito da Fazi un paio d’anni fa, ma converrebbe che i due leader vincitori delle elezioni politiche italiane lo leggessero oggi con attenzione.
Si chiama Connectography ed è scritto dal giramondo (beato lui) indiano e appassionato di mappe geografiche Parag Khanna. Sono oltre seicento pagine ed è l’ultimo di una trilogia. Leggete solo questo.
Il libro disegna la grande mappa geografica del mondo: «La nuova mappa del mondo – scrive Khanna – non dovrebbe rappresentare soltanto gli Stati, ma anche le metropoli, le autostrade, le ferrovie, le pipeline, i cablaggi per Internet e gli altri simboli della nostra nascente civiltà di network globali».
E aggiunge: «Ancora oggi molti studiosi guardano ai confini politici come alle più fondamentali tra le linee disegnate dall’uomo sulle mappe. Ciò è dovuto alla tendenza dell’uomo a vedere nel territorio la base di potere e nello stato l’unità di fondo dell’organizzazione politica, nonché alla supposizione che solo i governi possono ordinare la vita all’interno degli stati, come pure la convinzione che l’identità nazionale sia la fonte primaria della lealtà della popolazione. Il progredire della connettività porterà tutti questi assunti al collasso. Forze quali il decentramento, l’urbanizzazione, la diluizione, le megainfrastrutture e la connettività digitale ci imporranno di produrre carte geografiche ben più complesse».
Non bisogna dimenticare le proprie radici e la propria cultura, non bisogna dimenticare la propria storia, aggiungiamo noi. Ma non si può far finta che la globalizzazione, che alcuni movimenti politici vogliono combattere (dazi, regole, barriere), abbia già mutato forma: la globalizzaione 2.0 è la connettività.
Chi plaude alle pericolose misure contro l’acciaio prodotto in Cina, che sono sbagliate di per sé, non si rende conto che anche il pur lieve beneficio economico che sulla carta potrebbero assicurare nel breve, viene perso alla luce delle nuove frontiere della sfida economica e sociale.
Khanna ci affascina con le sue cartine: nuove foto di un mondo che cambia. E ci spiega come la nervatura della società sia più complicata di quella fissata dalla storia e dai confini.
New York è forse l’America? Londra è forse il Regno Unito? Ma anche Milano è forse l’Italia? Sarebbe sufficiente vedere i comportamenti dei cittadini di queste metropoli al voto, per comprendere che sono altro rispetto al confine nazionale.
Occorre connetterci fisicamente. Sono necessarie più pipeline (Tap), più autostrade e ferrovie (Tav), più reti cablate e più ponti come quello che ha reso unite e floride le economie di Copenaghen e Malmö (Messina aspetta).
Si deve costruire, progettare, unire e poi lo sviluppo arriverà. Non vi stupite. È quel che fece la classe politica italiana dopo la Guerra, decidendo, ad esempio, di costruire l’Autostrada del Sole, nonostante di auto in Italia ne circolassero ancora poche.
Nicola Porro, Il Giornale 11 marzo 2018
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