15 ottobre 2021. Oggi è un giorno triste per il nostro paese. E pensare che qualcuno lo chiama addirittura “G-Day”. Come può essere beffarda a volte la vita. Si usa un’espressione che rimanda allo sbarco in Normandia e alla liberazione dell’Europa dal nazismo, quindi l’anniversario per eccellenza della libertà a livello globale, per indicare il giorno in cui entra in vigore uno dei provvedimenti più liberticidi della storia d’Italia. E d’altra parte chi ci governa lo ha ripetuto più volte: il lasciapassare, secondo loro, è uno strumento di libertà. E di conseguenza oggi è il G-Day, una giornata di festa che permetterà al nostro paese di uscire dall’oscurità della tirannide fascista, no vax e no pass e restituirà finalmente agli italiani una vita lunga e in salute. Sarà proprio il G-Day a scatenare un’impennata delle vaccinazioni suggellando il trionfo del governo Draghi.
G-Day o Freedom Day?
Quanto può essere diverso nel tempo e nello spazio il concetto di libertà. In Italia oggi si celebra il G-Day, giorno a partire dal quale milioni di cittadini non potranno recarsi al lavoro ed essere retribuiti se sprovvisti di un certificato sanitario, e solo qualche mese fa, a metà luglio, in Inghilterra persone festanti uscivano di casa, invadevano strade e parchi, sorridenti, alzando le dita in segno di vittoria in quello che era stato definito il “Freedom Day”, il giorno della libertà. Il momento in cui per loro sono cadute tutte le restrizioni governative causate dal virus.
E allora viene da chiedersi: è giusto che un valore che dovrebbe essere universale, come quello della libertà, possa assumere significati tanto diversi? È normale che quello che un inglese considera libertà, per un italiano possa essere addirittura il suo opposto e viceversa? Domandiamoci: perché gli inglesi festeggiano la vittoria sul vero nemico, cioè il virus, su ciò che ha causato effettivamente la compressione delle loro libertà fondamentali, mentre gli italiani provano maggior piacere nel celebrare la sconfitta di una parte del paese, seppur minoritaria, in quello che sembra essere uno stato di emergenza senza fine?
La parola “Libertà”
La radice del problema sta tutta qui. Nella definizione del concetto di libertà che io non ritengo possa essere, almeno nella sua forma più pura, interpretabile. La Libertà con la “L” maiuscola può essere solo una così come univoco deve essere, ad esempio, il concetto di Giustizia. Ora, senza volerci addentrare in trattazioni metafisiche, possiamo ricavare qualche spunto di ragionamento e forse anche il seme di una possibile risposta, banalmente dall’etimologia delle due parole, quella italiana e quella anglosassone che presentano diverse analogie ma anche qualche sfumatura differente. Ma soprattutto non prestano il fianco ad intepretazioni di sorta.
Il termine italiano “libertà” deriva dall’aggettivo latino “liber” che si rifà all’indoeuropeo con significato di “vicino”, di “ciò che è con me”. “Ciò che è vicino” o “con me” potrebbe far riferimento sia ai beni materiali, quindi al concetto di proprietà personale, ma forse anche alle persone che sono intorno a me, coloro che fanno parte della mia vita, quindi anticamente la famiglia e la tribù. In ogni caso, anche nella sua variante indoeuropea, non vi è dubbio alcuno che la dimensione principale di questa parola sia l’individuo. È il singolo il fattore determinante da cui dipende “ciò che è vicino”, “ciò che è con sé”. Etimologicamente parlando, dunque, anche nella parola “libertà” non vi è traccia di una dimensione “sociale” che possa essere in qualche modo anteposta all’individuo. Persino il concetto di vicinanza o prossimità, volessimo anche allargarlo alle persone, va comunque inteso nel senso di coloro che ci sono letteralmente più vicini. Non esiste dunque nessun riferimento alla “collettività” in senso lato, al “bene pubblico” o alla preminenza di altro rispetto all’io.
Il termine “Freedom”
Ancora più chiara in questo senso è l’origine della parola anglosassone “freedom”. Che secondo accreditate ipotesi etimologiche deriverebbe da un’espressione che significa “individuo che possiede il suo collo”. Dunque un soggetto che può banalmente disporre del suo corpo. Di se stesso. E quindi allargando il concetto, anche del proprio modo di pensare e agire. “Un individuo che possiede”: anche in questo caso sono centrali i concetti di individualità e di proprietà. Senza proprietà del proprio collo, del proprio corpo e di tutto ciò che è mio, compreso il mio lavoro, io non posso essere libero. Mai. Dunque è evidente che se qualcuno mi costringe a non poter più disporre del mio collo, del mio corpo, del mio modo di pensare e del mio lavoro, io divento a tutti gli effetti uno schiavo. E non c’è collettività o bene pubblico che tenga. Dunque, che chiamino questa roba con un altro nome. La chiamassero diritto alla salute, collettivismo, comunismo. Facciano loro. Ma di certo non ha nulla a che vedere con la libertà. E come abbiamo appena visto non serve nemmeno la scienza politica o la filosofia per capirlo. Sono gli stessi termini che parlano.