Sennonché, il limite profondo di questa scuola rothbardiana non sta nel rispetto assoluto che esige per la proprietà privata (in polemica con la Scuola di Chicago) ma nella cancellazione—che l’accomuna alla detestata sinistra europeista e universalista—della dimensione politica dal mondo umano, a vantaggio della dimensione economica (il mercato) e di quella giuridica (il diritto di proprietà). Di qui la distanza dal vecchio Luigi Einaudi, un liberale consapevole che il mercato di Dogliani funzionava grazie al pennacchio dei carabinieri, ai tribunali, all’apparato statale garante dell’ordine e della correttezza delle transazioni. Quando Papafava scrive che “nel mercato, l’armonia degli interessi rimpiazza il conflitto politico” o che “lo sviluppo commerciale è un gioco a somma positiva, non a somma zero” giacché “nel mercato entrambe le parti di una transazione si avvantaggiano” pare che abbia in mente non uomini in carne ed ossa, situati in un ambiente storico e naturale determinato, educati da istituzioni secolari ma un’astrazione: quell’homo oeconomicus che esiste solo nella mente dei teorici puri (v. le acute analisi di Ralph Dahrendorf).
E’ la proprietà privata che ha fatto grande l’Occidente ma ad averla garantita istituzionalmente è lo stato moderno, un prodotto complesso dell’ingegno umano, che non può essere ridotto a un dispendioso apparato burocratico, quale è diventato oggi con l’allargamento inevitabile della sua base sociale.
Dino Cofrancesco, Il Dubbio 20 luglio 2019