Amadeus come la Ferragni: un padreterno di cartone

L’addio alla Rai di un moralista carico di metavalori e di plusvalori

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amadeus nove

Dicono che dopo la trattativa da Rai a Nove ad Amadeus detto Ama gli sia crollato “il sentiment”, che sarebbe l’indice della stima di cui uno gode. Misurata a spanne, alla carlona, sui social, tipo cambiamenti climatici. Il sentiment è una delle innumerevoli fregnacce, degli infiniti birignao della modernità post liquida, il sentimento invece c’è e ha a che fare con il modo in cui la gente ti considera. Perché sarà anche vero, è senz’altro vero che uno va dove lo porta il soldo e ne ha il diritto, solo che un conduttore, specie del sedicente servizio pubblico, non è esattamente come un pilota o un calciatore o una popstar. È uno che, come si diceva in tempi andati, “entra nelle case della gente”, per dire nella sua vita, e alla gente impone, proponendoglieli, determinati metavalori o plusvalori. Il conduttore è un moralista, uno che crea e impone non un sistema morale ma un intrico di sollecitazioni, spesso pretestuose, facili, a presa rapida, commerciali, eppure pervasive.

Amadeus col suo moralismo, del suo moralismo ha impregnato gli ultimi cinque Festival di Sanremo traghettandoli da un politicamente corretto più o meno marcato al woke imperante, al gender dilagante e infine al conformismo pubblicitario carnale, con le Big Mama del caso, che è come a dire dal gender fluid al body fluid e infatti questa aspirante cantante, di nessun successo, è subito rimbalzata a tenere lezioni di moralismo al Parlamento Europeo. Finché il pubblico si accorge che tanto sforzo era pretestuoso, era finalizzato alla trattativa. E il sentimento, o sentiment, frana.

Amadeus, come il compare Ciuri, come Fazio, sono moralisti della più bell’acqua. Non sono pluralisti, invitano chi vogliono loro e se per caso debbono sottostare alle logiche spartitorie della televisione di potere, sanno come comportarsi, sanno chi blandire e chi invece tenere a debita distanza. I vari Fazio, o Ama e Ciuri (responsabili di una scenetta vergognosa che umiliava i cosiddetti novax, mentre a cadere poi sarebbero stati i vaccinati), non vanno mai contro la narrazione dominante, contro il regime “buono”, pubblicitario, che gli creerebbe problemi; sono uomini, conduttori d’ordine e di propaganda. Se questo è vero, allora tutto il loro moralismo va pesato diversamente da quello di un cantante di passaggio o di un trapper più o meno balordo o militante per i Fratelli Musulmani. Gli Ama crescono e muoiono nell’adorazione delle folle, ma oggi non muoiono più, si trasferiscono e Amadeus a quanto pare ha trovato 15 milioni di ottime ragioni in tre anni. Prosit, ma che ne è di tutto quel perbenismo, di quel giurare sui valori o i metavalori?

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Oltretutto, pare che la trattativa si sia snodata sul filo di possibili faide, nepotismi, pretese familistiche, tutta roba sulla quale ciascuno ha, pirandellianamente, la sua verità, pirandellianamente o se si preferisce alla Kurosawa, però intanto affiorano e i protagonisti se le rinfacciano. E la gente non dovrebbe sentirsi delusa e magari anche un po’ tradita? Quello di Amadeus detto ama, oltre che familismo, sembra anche un moralismo amorale; ed è difficile continuare a recitare il ruolo del ragazzone ultrasessantenne tutto casa, famiglia e sacro pubblico, quizzetti, pacchi e festival, quando si scopre o si insinua che vuoi fare la forca all’ex manager, che vuoi imporre alla Rai, dunque a tutti i cittadini, pure tua moglie e magari i tuoi figli.

Qui si potrebbe accennare anche a un altro fenomeno, sorta di propaggine di un andazzo conclamato: il figliettismo, ormai non esiste vippone senza tribù proletaria al seguito: a Sanremo vanno i figli di cantanti vivi o morti, Fiorello detto Fiore detto Ciuri, uno che alla più lieve brezza critica si irrigidisce come la giustizia offesa, convoca, lui, i vertici, minaccia addii, tragedia come in un romanzo di Camilleri, si è fatto un dovere di lanciare la figlia, non si sa a che titolo ma si capirà presto. Col grottesco per cui uno speaker del telegiornale, che aveva osato farci caso, è stato subito redarguito, punito – Fiorello è Dio, non si nomina invano, né lui né il Figlio – e poi si è scoperto che a sua volta era figlio di un ex potente Rai. Altri nomi sono sotto gli occhi di tutti e i cari genitori senza problemi dicono: è mio figlio, è il migliore, dovete dargli un programma, uno spazio, una striscia. E nessuno fiata, perché noi italiani mica siamo del puritanesimo frescone, siamo storici noi, siamo cinici, sappiamo vivere, sappiamo stare al mondo. Solo che un Paese di furbi, come sempre, finisce per rivelarsi un popolo di cialtroni.

Vai Ama! Bravo Ama! Come nel Nerone di Petrolini. Ma alla fine il sentimento scema, perché c’è un limite e non tutto può sempre risolversi col maggior guadagno: saremo patetici noi, uomini di un altro secolo o magari di un tempo mai esistito, ma il fatto è che nel nostro candore coglione non riusciamo ancora a capacitarci così come non siamo in grado di stupirci se il popolino si sente preso in giro da questi padreterni di cartone e di etere, che nascono e muoiono nell’adorazione delle folle e quando cambiano casacca pretendono la stessa adorazione e se non la trovano dicono: siete voi che non capite, siete voi che dubitate. Come Chiara Ferragni coi pandori. Non è sempre invidia e non è rosicare, ogni tanto è semplicemente la logica, la dignità di chi, magari troppo tardi, si riscuote: tu, moralista carico di metavalori e di plusvalori, a me, per il culo, non mi ci pigli più.

Max Del Papa, 15 aprile 2024

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