Sì, io mi fermo qui/Qui dove vivi tu/No, più non cercherò/Un altro nido ormai. Già che si parla di canzonette. Amedeo Umberto Rita Sebastiani, in arte Amadeus, aka Ama, alias AmaCiuri, si ferma qui. Alla quinta. Che, per un ultrasessantenne, comunque è tanta roba. Non avremo più un Ama sexties all’Ariston, finisce un’epoca: Ama e non più Ama. Era ora? No, nun ce lassà? Sia come sia, rilassiamoci tutti, anche Pippo Baudo che già mandava cannoli alla panna acida: “Eeeh, ha voglia a camminare, io ne ho fatte 13”. Di conduzioni, roba grossa.
Adesso che succede? Ma niente, che vuoi che succeda. È passato Gesù Cristo, passerà pure AmaCiuri a Sanremo, no? Intanto se ne parla e difatti chi è che ne parla? Ma ça va sans dire, l’altra metà dell’Amedeo, il Rosario, ma ti pare possibile che il Paese, e in esso la sua pubblica azienda di propaganda, la Rai, abbiano solo questo ibrido, AmaCiuri, prima, dopo, durante i pasti, a Sanremo, nei quiz, nei varietà, nei telegiornali, fra un po’ anche nel calcio emigrato in Arabia? Ma che è? E dunque Rosario, che sarebbe Fiorello, in arte Fiore, aka Ciuri, dà le consegne: “Basta con Sanremo se no Fiore mi prende mi chiude e butta la chiave”.
Ecco, un lockdown personalizzato per AmaCiuri. Come spiegazione, è vero fa un po’ ridere, probabilmente Ama si è anche un po’ usurato, quello che doveva fare, tenere su il Festival di Stato nel solco dell’Agenda, lo ha fatto, di soldi ne ha a scatafascio ed altri ne farà a prescindere, oramai è produttore e impresario di se stesso, una superpotenza in Rai, trasversale, interspaziale, chi glielo fa fare? Anche se, attenzione, non è che chiuda del tutto: nell’anticipazione al rotocalco, strategica, fa tutto parte della grancassa festivaliera e commerciale, la dice e non la dice: “Adesso facciamo questa settimana, poi vediamo, però sono onorato, però sì, io mi fermo qui, nanananana”.
Pare un po’ il congedo del viaggiatore cerimonioso di Giorgio Caproni: Chiedo congedo a voi senza potervi nascondere, lieve, una costernazione”.
Sì, ed era così bello vedere, insieme, seduti di fronte, scambiandoci i cantanti che tanto son tutti uguali e valgono tutti lo stesso, zero vale zero, perché se proprio dobbiamo dirla, caro AmaCiuri, la musica non passa di qua, non ha niente a che fare col Festival, anno dopo anno e sicuramente negli ultimi 5 anni sempre più. È, lo abbiamo ripetuto ad nauseam, mero intrattenimento telepolitico, agenda, conformismo politicamente correttissimo sotto una patina di trasgressione puberale, come i poveri pirla del trap che arrivano con le crestine e le smorfiette, che si sono esercitati a fare per mesi. E poi dicono: ah, che emozione, per me Sanremo è il massimo, è il traguardo di una vita, ringrazio tutti, la mamma, la Rai, e il presidente Mattarella.
Ora che più forte sente stridere il freno, Ama ci lascia davvero, amici: addio, che succede adesso? Succede l’avvicendamento di sempre. Passata la gestione Conti-Capecchi (si dice sempre il conduttore e il manager, come nelle canzoni si citano paroliere e musicante), la Baglioni-Salsano, la Amadeus-Presta, la Ama-AmaCiuri, dalla prossima toccherà a un altro; c’è chi ipotizza fortemente un X-Caschetto, con il che rischiamo di ritrovarci un Che Sanremo che fa con tutta la banda inclusi i diversamente indipendenti del Fatto, quelli che accusano tutti di slurpare ma hanno, loro, lingue che partono, almeno alcune, da Genova, passano da Volturara Appula e arrivano quale a Pechino, quale a Teheran, quale a Mosca eccetera.
Di fatto, sappiamo con certezza che molti esclusi storici si stanno già scaldando, hai visto mai che finalmente tocca pure ai Jalisse, dopo 28 anni di panchina. Il ritorno dei nonnetti prodighi. Basta che non sia qualcuno senza tessera Pd, reale o virtuale o stampata nel cuore, altrimenti Elly chi la sente. Va bene che per l’anno prossimo sarà tornata nei ranghi di un oblio più o meno dorato, Jalisse della politica fallimentare. Però, se pure tutto passa, certe regole anche a Sanremo restano. Debbono restare. Una, aurea, è che l’epitome del lavaggio del cervello nazionalpopolare, tutto ortodossia vaccinale, euforia del controllo, conformismo, agenda, deve essere officiato da un progressista. Gesù, e che, vogliamo davvero ribaltare il mondo?
Un progressista per un festival come e più di sempre progressista, il che significa invertebrato, fluido, moralista, ipocrita, pieno di cialtroni davanti a un microfono, che, più di cantare, predicano.
Intanto come colpo di coda AmaCiuri vorrebbe esistenzialmente Taylor Swift, la miliardaria che prende il jet privato anche per andare al cesso però si sdebita pagando i “crediti della CO2”. Così si fanno le cose, compagni, amici e cognati. Ama lascia, forse, qualcuno verrà, ma sempre progressista e de sinistra. Ma ci sarà posto anche per gli altri, con calma, dosando le forze, in ossequio alla procedura per cui a sinistra occupano perché “noi siamo migliori”, a destra s’intrufolano perché “adesso tocca a noi”. Basta che ci sia posto, viva la Rai, Felicissima sera a tutte ‘sti signure ‘ncravattate e a chesta cummitiva accussi allera d’uommene scicche e femmene pittate chesta e’ ‘na festa ‘e ballotutte cu ‘e fracchisciasse ‘sti signure. Perchè Sanremo è Sanremo.
Max Del Papa, 24 gennaio 2024
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