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Ammesso che il clima sia in pericolo, che c’entra Cracco?

Il delirio degli eco-ambientalisti a Milano: sit-in contro il ristorante di lusso. Non sanno più che inventarsi

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A un mese dalla “fiammeggiante” inaugurazione della campagna “Il Giusto Prezzo”, Ultima Generazione irrompe simbolicamente nel ristorante di Carlo Cracco in Galleria Vittorio Emanuele II, a Milano. Il movimento di “resistenza climatica non violenta” pretende di portare i suoi tipici toni millenaristici nel dibattito economico-produttivo, proponendo, con la platealità che lo contraddistingue, un’etica della frugalità che non regge a un esame anche solo minimamente accurato. Già noti per sit-in autostradali alla Ballard – con qualche schiaffone incassato – e per atti di eco- vandalismo, furono i protagonisti del Nardella furiosus del 2022, quando l’ex sindaco di Firenze si precipitò, con piglio travolgente, a pulire le mura di Palazzo Vecchio imbrattate dagli attivisti, finendo prontamente trasformato dalla rete in un poderoso meme.

La protesta si è concretizzata così: seduti a terra per un’ora, bloccando l’ingresso finché polizia municipale e Digos non li hanno sgomberati, chiedevano un “pasto sospeso” ogni giovedì per le persone in difficoltà economica. Dal loro punto di vista, un modo per testimoniare una ferma contrarietà al lusso che, secondo certo lasco bigottismo, alimenterebbe la povertà. Ma questo paradosso – la ricchezza come origine della miseria – è ampiamente diffuso, più di quanto non sembri e, tuttavia, non regge.

È, piuttosto, una favola per bambini. Il lusso infatti non è la radice della disuguaglianza sociale; semplicemente non c’entra niente, non ha a nulla a che vedere con l’annosa questione della povertà. Eppure l’idea implicita di Ultima Generazione – Cracco è ricco, i suoi piatti sono cari, quindi è in qualche modo reo – trova sponda, anche indiretta, presso molti politici coinvolti nell’agone democratico. Per averne riprova, basta confrontarsi con le possibili soluzioni, rigorosamente alluse più che indicate.

Cosa si propone, quindi? Una catena interminabile di pasti sospesi lungo tutta la penisola? O più facilmente una qualche redistribuzione forzata, magari tramite tasse e pianificazione economica affidate allo Stato italiano o, peggio ancora, a un Super-Stato europeo? Il problema, com’era prevedibile, è che siamo già finiti a un punto morto: questo approccio, infatti, non solo non risolve nulla, ma è addirittura la classica cura peggiore del male.

E in nessun caso il problema, sia chiaro, è Cracco.

Intanto perché né la lussuosità del ristorante né il vezzo dei suoi clienti sono un furto. In secondo luogo, perché per dirla alla Bataille de La Parte Maledetta (1949), lo spreco è di per sé irriducibile: è la vita stessa, è l’eccesso – lusso e arte, ma anche guerra – che ci eleva sopra la mera sopravvivenza animalesca. E poi è invece il mercato – nonostante le mille storture e vessazioni sorte e perpetrate dall’ingerenza statale – che, liberamente, riesce talvolta a premiare talento, branding e consenso. Cracco incarna, ad un tempo, sia queste capacità che la summenzionata dispersione, creando infine una dialettica inconciliabile con i social justice warriors i quali, con la loro visione utilitaristica e malthusiana dell’azione sociale, vorrebbero tutto “giusto” e funzionale, preferibilmente nel più breve tempo possibile, giacché staremmo rovinando negli imminenti “tempi ultimi”.

Naturalmente, per l’inquisizione di una religione triste è più facile prendersela con un imprenditore di successo che chiedersi perché in Italia la libertà economica sia del tutto soffocata. D’altronde siamo trentanovesimi su quarantaquattro in Europa secondo l’Indice della Libertà Economica 2025 della Heritage Foundation: tasse sul lavoro al 43% strozzano chi produce, mentre lo Stato estorce per dilapidare in burocrazia e sussidi. È questa la radice della miseria, non un risotto da 50 euro.

La situazione non è eccellente e c’è ovviamente ancora molto da fare, ma la direzione da intraprendere è opposta a quella indicata da chi sogna un mondo senza lusso né spreco. Un mondo insopportabile, che richiama grigiori novecenteschi ancora vivi nell’immaginario collettivo. Di infinita tristezza non abbiamo bisogno, questo è certo. Meglio, allora, spendersi lo stipendio in una cena che lanciare cineree accuse contro quei rari sprazzi di gioia che ci impreziosiscono l’esistenza.

Michele Ferretti, 21 marzo 2025

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