Forse la svolta è vicina, probabilmente un’ondata di buonsenso colpirà tutti noi. Le Olimpiadi e le Paralimpiadi di Parigi hanno riacceso il dibattito sulla presenza di atleti trans nelle competizioni femminili e c’è stata una grande divisione tra l’emisfero woke e i rappresentanti del senno, con i primi pronti a umiliare le donne in nome del contentino alla galassia Lgbt. Ma c’è chi dice no a tutto ciò, per fortuna. Se molte federazioni hanno escluso atleti e atlete trans dalle competizioni femminili, anche le Nazioni Unite hanno deciso di prendere una posizione tranchant.
Dall’italiana ipovedente Valentina Petrillo a Noa Lynn van Leuven, prima giocatrice trans a prenotare nei Wold Darts Championships (freccette), i casi si sono moltiplicati negli ultimi anni, con il benestare della religione del risveglio. L’Onu però non sembra sensibile alle rivendicazioni woke: come riportato al Foglio, un nuovo rapporto sottolinea che Paesi e federazioni sportive dovrebbero garantire che le competizioni sportive femminili siano limitate alle atlete il cui sesso biologio è femminile. Niente autocertificazioni alla spagnola, niente salto dell’esame.
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La relatrice speciale Reem Alsalem ha presentato il suo rapporto a un comitato dell’Assemblea generale e sicuramente non mancheranno le polemiche, soprattutto da parte della comunità trans. I numeri parlano chiaro: oltre seicento atlete femminili hanno collettivamente perso novecento medaglie a favore di concorrenti biologicamente maschi in più di quattrocento eventi sportive: “Anche con la riduzione del testosterone, gli atleti maschi mantengono attributi come forza e densità muscolare, che continuano a inclinare la competizione a loro favore”, si legge nel rapporto.
Il documento targato Nazioni Unite smonta tutte le fesserie ripetute a pappagallo dai difensori dell’inclusività esasperata. Gli standard attuali sono arbitrati e tutt’altro che legati alla scienza. Per questo motivo, ha aggiunto la relatrice nel suo rapporto, è necessario ricorrere a screening sessuali “non invasivi e riservati” obbligatori per gli atleti che competono con le donne. Una buona notizia, dunque. In questo modo non assisteremo a disparità frutto del buonismo peloso. Sicuramente qualcuno avrà da ridire, puntando il dito contro transfobia, omofobia e gli altri soliti insulti rivolti nei confronti di chi non si adegua a certe cretinate.
Recentemente un gruppo di atlete e leader internazionali – tra cui la nuotatrice olimpica Sharron Davies, l’atleta universitaria statunitense Lainey Armistead, la Ceo di Alliance Defending Freedom (Adf) Kristen Waggoner e la già citata Alsalem – aveva chiesto alle Nazioni Unite di preservare equità e sicurezza nelle categorie sportive femminili. “Le donne sono svantaggiate fisicamente. Questo non significa che siamo peggiori o migliori, significa solo che siamo biologicamente diverse” la denuncia di Sharron Davies, che ha gareggiato come nuotatrice in tre diverse Olimpiadi. La donna aveva tenuto a ribadire di non conoscere una sola persona che volesse escludere qualcuno: “Tuttavia, vogliamo vedere le donne praticare uno sport equo e sicuro. E non possiamo aspettare che una donna si ferisca gravemente o, peggio ancora, venga uccisa, prima di poter fare i conti con la scienza, l’ovvio e il buon senso”.
Franco Lodige, 31 ottobre 2024
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