Società

Angela Carini deve morire. Su di lei l’odio social è lecito

Tutti a difendere Imane Khelif dalle “aggressioni” online, ma se a finire nel mirino è la pugile italiana diventa semplice “ironia”

Angela Carini e Imane Khelif © D3Damon tramite Canva.com

La disintegrazione della società democratica passa per la tecnologia democratica che doveva unire tutti, collegare tutti in un Eldorado di pace e di fratellanza. La pugile Angela Carini che ha rifiutato di farsi spaccare la faccia da un’avversaria geneticamente insostenibile si lascia tentare dalla politica, diventa testimonial del Ponte sullo Stretto, se mai si farà, e subito la canea social si scatena, con esiti di dubbio gusto: il ponte che crolla dopo quaranta secondi, che si sbriciola al primo passaggio di veicoli.

La tecnologia inclusiva e tollerante in realtà arma micidiale contro la tolleranza e questo non è tenuta a saperlo una ragazzina di venticinque anni confusa e magari troppo sensibile alle sirene del potere, ma la verità è che i pericoli di questa tecnologia ludica, che serve gioiosamente a distruggere gli sgraditi e gli eretici, non la capisce nessuno salvo chi la inventa e chi la manipola, i killer a tariffa senza faccia né nome. Perché la pugile o ex pugile Angela sarà anche una che offre generose occasioni a chi la sfotte, ma il fatto è che dietro la presunta ironia affiora un preciso intento militante e autoritario: Carini è associata ai sovranisti e deve morire e allo scopo ecco prontissime le avanguardie democratiche con la scusa dei lazzi e delle battute. Non è il “castigat ridendo mores”, è una precisa strategia ideologica di cui tutti i governi e tutti i poteri si servono e che in Italia assume i contorni di un servilismo al solito sbracato, facile da intercettare anche perché i suoi parassiti non si nascondono anzi pretendono giusta mercede per servizi resi.

Carini ha osato mettere in crisi la Narrazione olimpica, si è permessa di dire “io con un pugile più maschio che femmina non combatto” e Carini deve morire; laddove la “pugila” Imane per gli stessi meccanismi tecnologico-moralistici diventa intoccabile: i test sulla genetica inaccettabili perché indiscreti, la critica, giornalistica o scientifica, inammissibile come qualsiasi ironia immediatamente marchiata come odio e punita dall’interessata, che, in modo alquanto grottesco, tra un pianto e un “Allah akhbar” passa all’incasso o così spera contro miliardari del calibro della creatrice di Harry Potter o il Musk spaziale che ha sottratto Twitter al dominio assoluto e distorsivo della sinistra americana e occidentale.

Perché la tecnologia autoritaria spacciata per Disneyland serve a scopi di gran lunga più ambiziosi e più agghiaccianti. Serve a dirottare l’esito di elezioni politiche, a creare (o distruggere) figure di spettacolo da usare a fini di potere, come la stessa Khelif, stende la sua ombra pesante su un dibattito che nasce afasico, certe cose si possono e si debbono dire, anche false, soprattutto false, altre non vanno pronunciate a maggior ragione in quanto vere.

Per questa strada il curioso intreccio di poteri autoritari, delle democrazie autoritarie come l’americana e dei sovrastati autoritari come la UE e l’OMS, in coabitazione con regimi totalitari come quello cinese, ha potuto imporre una allucinante reclusione globale, incredibile in tempo di pace, col pretesto di una pandemia che nessuno ha capito e i cui rimedi oggi, dopo anni di menzogne e di censure alimentate dalla tecnologia del controllo, vengono riconosciuti come del tutto inefficaci quando non deleteri. Col bel risultato di milioni di morti perfettamente evitabili, carne da macello per le politiche affariste della finanza globale. Hanno mentito, sui social come sui media tradizionali, quanto a vaccini, contenimenti, mascherine, hanno pronunciato i loro anatemi menzogneri, “se non ti vaccini muori e fai morire”, ma la Narrazione “che è l’unica cosa vera”, come dicono i suoi padroni, provvede a legittimare gli olocausti, virali o bellici, semplicemente facendo finta di niente, alimentando le antiche bugie e sfornandone di sempre nuove, di sempre più stordenti.

E ci dovremmo stupire per la gogna su una ragazzina alla quale non viene perdonata l’immaturità che è comune nella società peterpanesca, il demone della vanità che prende politici come virologi, madri influencer come intellettuali ponderosi? Ma se la sua avversaria, la Imane Khelif, è subito diventata, come si dice, “icona globale” e già fa incetta di denunce a chi si permette di criticarla così come di sponsor! Questa combattente controversa, fino a ieri praticamente sconosciuta, di colpo è tra le figure più riconoscibili al mondo e dunque tra le più lucrative, stante l’equazione apparenza uguale affari tracciata dal post liberismo pubblicitario e truffaldino. Però l’odio “ci sta”, come usa atrocemente dire, solo per l’italiana in odor di salvinismo o di melonismo.

La tecnologia infantile ma cattiva, falsamente divertita in realtà criminale, scatena i suoi effetti avversi tra i quali una curiosa compulsione a percepirsi tutti come Federico Palmaroli in arte “Osho”. Con risultati patetici o miserabili. Ogni situazione, anche la più spaventosa, ogni abominio si risolve, si liquida coi meme, quei fotomontaggi per lo più idioti o carogneschi. Tutto in queste democrazie cannibalizzate si sistema “ridendoci sopra” pur di non coglierne le implicazioni. Un esorcismo miserabile, la narcosi della comprensione e della coscienza ma, ancora una volta, in modo tutto tranne che innocente pur di avvelenare i pozzi a beneficio del potere repressivo.

Su tutto si può praticare l’antica arte della canagliaggine, ma se appena ti permetti di sindacare una frase del Capo dello Stato partono gli stormi di cecchini che ti minacciano in modo violento e tu ci risenti antichi odori di terrorismo, di brigatismo da tipi di improbabile aspetto che inneggiano alla Rackete o alla Salis per difendere un antico democristiano ultraottantenne, simbolo del potere resiliente, della democrazia paternalistica autoritaria incompatibile con gli scarti dei centri sociali.

Questo è precisamente il gioco di specchi: una pugile femmina seppellita di odio feroce, l’altra pugile dalla femminilità controversa portata in processione come una Madonna che appare di colpo femminilizzata sotto strati di filtri, di trucchi fotografici, ma guai a permettersi.

Essendomi permesso di ipotizzare un legame tra la doppia somministrazione e un linfoma scoperto lo scorso anno, mi ritrovo anch’io oggetto della squisita ironia dei fantasmi operativi “acca 24” i quali riescono contemporaneamente a maledirmi in fama di novax pur essendomi vaccinato, a dire che i vaccini non c’entrano, sono necessari “ma se ti ammazzano almeno sono serviti a qualcosa”.

Provare ad orientarsi nella pazzia diffusa è vana fatica, rispondere è a sua volta follia. Forse non resta che una strada, recuperare l’antica prudenza, la discrezione, specie se ti ritrovi esposto per ruolo o per mestiere, il “never complain never explain” degli inglesi, il muro di gomma contro gli spaventapasseri da lasciar affogare nella loro irrilevanza, nei loro meme militanti che se non li raccogli sbiadiscono come meduse al sole.

Max Del Papa, 16 agosto 2024

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