“Sississì, sississì, vacciniamoci…”. Anche questo ci fu dato vedere negli anni ruggenti della libertà archiviata insieme alla sacra Costituzione, sacra a Sanremo. I tre virologi, come i tre tenori, ma lui non c’era. Lui è Roberto Burioni, fondamentalista vaccinale ma, ancor più, egocentrico da Che tempo che fa. Lui balla da solo. È stato il primo in passerella, il primo da copertina, il primo virologo-utilitè, buono per tutte le ribalte e le ribaltine, sempre imitato (in particolare dal Bassetti), mai eguagliato: anche nel furore con cui si rivolgeva, e si rivolge, ai cosiddetti novax “sorci”, o irrideva una giovane disabile per il suo aspetto (“capisco, le twittò addosso): di tutto e di peggio e tutto documentato, la Rete conserva, i nostri cinguettii ci seguitano e a volte ci perseguitano; fino alla infantile polemica contro gli atleti (peccato che solo quelli plurisomministrati, da Jacobs a Berrettini, non stiano più in piedi, a differenza di Djokovic, del quale il nostro scienziato aspetta sempre tracolli che non vengono, un virologo buzzatiano capace di allarmismi tali da farsi sconfessare persino dal centro ospedaliero dove presta la sua opera, il San Raffaele (accadeva il 13 novembre del 2020). Forse la risposta gliela diede, a proposito di fuoriclasse, il “novax” Gianni Rivera, come di prammatica insultato dal nostro eroe: “Non conosco nessun Burioni, io giocavo con Buriani…”. Una finta e una magia, come quando incantava San Siro.
Un personaggio, senza dubbio, il Burioni: poi resterebbe da stabilire se sia vera gloria. Un giorno la Treccani dovrà pur arricchire il suo corredo alla voce: “Virologo”: uomo di scienza dall’attitudine inversamente proporzionale alla smania mediatica e alla fregola carrieristica (parliamo sempre di una specie umana, non del singolo). Anche di Burioni, come di tutti i suoi omologhi nessuno escluso (virologo è ormai una dimensione, una categoria dello spirito, un passepartout, ci rientra qualsiasi specie nota in medicina e in televisione), si è mormorata spesso l’ambizione di potere, l’“andiamo a comandare” di chi è convinto di essere l’unico a poter raddrizzare il Paese.
Dato per renziano, poi genericamente piddino, non ha fornito conferme della scalata al cielo, almeno fino a questo momento. Forse erano fuochi fatui. Forse, proposte che si potevano rifiutare. Ma ecco che la pulsione politica, ovviamente al servizio della collettività, torna e il nostro asso della veronica immunitaria (vax, sempre vax, fortisssimamente vax), sempre più simile a un Panatta della somministrazione erga omnes, uber alles, toto modo (ricordate l’eremo-prigione Zafer?), giustamente se ne vanta via social: “Ho ricevuto, tramite un caro amico [un caro amico?], la proposta di candidarmi come sindaco di Urbino e la cosa mi ha molto lusingato [e figuriamoci se no]. Prima di tutto perché – nonostante la narrazione imperante degli ultimi 30 anni – ritengo la politica la forma più alta di impegno sociale per un cittadino in un Paese democratico [e qui si sente uno svolazzar di violini che neanche l’adagio n. 10 di Barber]. In secondo luogo perché il fatto che in una cittadina con una così antica e importante tradizione universitaria si pensi proprio a un professore universitario come candidato sindaco è a mio giudizio un segno molto positivo [“questo lo dice lei, se ne assume la responsabilità”, gli risponderebbe don Fabio Capello]. Tutti sanno quanto io sono legato alle mie origini [e chi se ne frega, non ce lo metti?] ma ho deciso di non accettare. Anche di fronte ad altre proposte, in passato [vanitas vanitatis, et omnia vaccinus], ho scelto di continuare a fare il Professore Universitario [ma perché maiuscoli tanto?] e di proseguire nel mio impegno per comunicare al pubblico correttamente la scienza e la medicina. Nei nostri tempi di oscurantismo e di superstizione [sic!] penso che anche questa sia una forma di politica, ed è questo il modo in cui penso in questo momento [cioè: resto sempre in vigile attesa di qualcosa di meglio] di essere più utile al mio Paese”.
Sul comunicare al pubblico correttamente la scienza e la medicina, qualche milione di persone, tra cui chi scrive, avrebbe qualcosa da obiettare, con ricco corredo: non tanto e non solo verso il Burioni in sé, quanto per la (poco) stimata categoria. Ci avevano detto che il vaccino era risolutivo, e non lo era; che durava 10 anni, e poi si correggevano: massimo 10 settimane; che era salutare, ricostituente, innocuo, e, con buona pace di Burioni e della sua maleducazione social, siamo qui a milioni a pentirci amaramente di aver dato loro retta (il caso di chi scrive è il seguente: un linfoma indolente che scatena anticorpi malati in conseguenza del crollo del sistema anticorpale, cronologicamente susseguente all’assunzione di vaccino con richiamo: personalmente, credo assai più al centinaio di medici che me l’hanno confermato in questi mesi, con dovizia di elementi scientifici, che a Burioni che me lo smentirebbe con maliziose prove del diavolo, cioè sfidandomi a un’evidenza impossibile da dimostrare, senonché la scienza non funziona così e quanto all’infamia inventerata, “negazionista”, va rispedita al mittente: a sciropparmi la chemio ci sto io, lui invece si fa sciroppare dai volonterosi spettatori di Fabio Fazio).
Per l’Aifa siamo 150mila, il che significa, conoscendo l’Aifa e le sue ben note manovre per occultare dati e sostanza, che siamo almeno dieci volte tanti. Come disse l’appena citato Rivera ad un esterrefatto Bruno Vespa, “Pare che questa roba faccia male: lei dice a uno su mille? Sì, ma se quell’uno sono io non è che ne resti tanto contento…”. Personalmente sto conducendo un’inchiesta sulla mia pelle, ogni volta che mi sottopongo a una biopsia, un esame, un ciclo di chemio, mi fermo a parlare coi miei compagni di sventura e, nove volte su dieci, anche i loro guai, vedi caso, sono cominciati subito dopo la puntura garantita dai virologi di sistema.
Comunque, non la facesse tanto lunga, il nostro telescienziato: non ha accettato perché fare il sindaco di una cittadina marchigiana di provincia gli sembra poco, lui, minimo ministro, o non se ne fa niente. Auguri, e intanto felicitazioni agli urbinati che si sono scampata una vaccinazione di massa, anzi marziale: Urbino città devaccinata, o, più esattamente, ed è poi l’unica cosa che conta, vaccinata per scelta, non per imposizione. Ma poi, è proprio sicuro il nostro che lo avrebbero votato? Sississì, sississì, sindaco lui no…
Max Del Papa, 9 dicembre 2023
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