Nel fronte dei “putiniani” d’Italia, cioè di coloro pronti a comprendere le “ragioni” dell’autocrate di Mosca, c’è pure l’ANPI, l’Associazione Nazionale dei Partigiani. Ad accorgersene, o almeno a renderlo pubblico e a farne oggetto di una polemica, è stato Matteo Renzi nel orso dell’assemblea del suo partito ieri mattina. Gliene diamo atto, ma non possiamo esimerci dal considerare che nella polemica c’è molto ambiguità, da una parte e dall’altra.
Da parte dell’ANPI ovviamente, come è stato sottolineato da Renzi, nel condannare l’aggressione russa dell’Ucraina ma poi nel darne sostanziale colpa a Biden e all’Occidente: il primo autore di “clamorose ingerenze nella vita interna dell’Ucraina”, il secondo responsabile ultimo della situazione creatasi a causa del “continuo allargamento della Nato ad Est, vissuto legittimamente da Mosca come una crescente minaccia”.
Ma anche da parte di Renzi c’è tanta ambiguità, la stessa in verità che hanno da sempre le classi dirigenti italiane verso questa associazione titolare di credenziali del tutto immeritate. Se infatti da un lato il leader di Italia Viva ha definito senza perifrasi “vergognose” le parole che si leggono in un documento ufficiale e sul sito dell’ANPI, dall’altro ha tenuto ad aggiungere, e non si capisce perché lo abbia fatto, di aver tenuto sempre in grande considerazione l’Associazione tanto da aver chiesto quando era sindaco di Firenze a tutti i membri della sua giunta di iscrivervisi. Renzi ha poi aggiunto che, col suo antiamericanismo, l’ANPI è “indietro con le lancette della storia” e che i partigiani di settanta anni fa “avrebbero capito da che parte stare tra invasori e invasi”. Ebbene, no!: la posizione dell’ANPI non è retrograda, è (ed era anche settanta anni fa) semplicemente sbagliata; e che i partigiani veri sarebbero stati senza dubbio dalla parte dell’Occidente è vero solo per una parte minoritaria di loro.
C’è poi da aggiungere un altro elemento, più generale, che serve a capire, ovviamente non giustificandola affatto, anche quest’ultima posizione dell’Associazione. Vi ricordate il noto editoriale di Leonardo Sciascia intitolato I professionisti dell’antimafia, pubblicato il 10 gennaio 1987 dal Corriere della sera? In esso, lo scrittore siciliano esordiva paragonando tutti coloro che per far carriera si mostrava (solo) a parole paladini della battaglia contro la mafia a coloro che i milanesi definiscono “eroi della sesta” con un riferimento alle gloriose Cinque Giornate. “Eroi” per modo di dire visto che sulle barricate non c’erano stati e si erano annoverati fra i “patrioti” solo a battaglia finita e vinta.
Che qualcosa del genere sia accaduto all’ANPI non deve meravigliare perché era iscritto già nel suo atto costitutivo, che risale al 1944. A differenza delle altre associazioni di reduci, la nostra prevede infatti nel suo statuto che ad essa possa iscriversi non solo chi ha combattuto sulle montagna ma anche qualsiasi cittadino maggiorenne che creda nei valori della Resistenza e dell’antifascismo. E che anzi, con un involontario richiamo al “fascismo eterno” teorizzato poi da Umberto Eco, si voglia battere concretamente per eliminare le sacche di esso ancora presenti nella società italiana o per prevenire suoi eventuali e sempre possibili regurgiti. Il risultato di questa scelta statutaria è che non solo l’ANPI, diversamente dalle altre associazioni del genere, non si esaurirà con la morte dei protagonisti della Resistenza, ma che ad un certo punto, evidentemente, fra gli iscritti non ci sarà più nemmeno uno dei veri e propri partigiani.