Antonio Pilati, grande mentore

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Nei prossimi giorni, la Regione Lombardia organizzerà una conferenza per ricordare il grande intellettuale ed esperto di media. Antonio Pilati ci ha lasciato la scorsa estate, prematuramente. Mi permetto di ricordare un aspetto della personalità di Antonio – forse meno noto – che ne dimostra la sua spontanea umanità: Antonio e’ stato per me un grande mentore.

Ho avuto la fortuna di lavorare a stretto contatto con Antonio per tre anni, negli anni ‘90, all’Istituto di Economia dei Media. Iniziai con uno stage. Ero di gran lunga il più giovane, un laureando della Bocconi con l’interesse per la comunicazione e per quell settore settore che sarebbe diventato il “digitale”.

Mi ricordo il primo incontro. Antonio mi colpì per la sua gentilezza, la semplicità (tipica dei grandi pensatori), con la quale mi spiego’ il modello di analisi dell’economia dei media italiani. Condivise subito molti contatti di dirigenti, esperti che avrebbero facilitato la mia analisi dei dati. Un grande esperto che non si sentiva per niente minacciato dai giovani, ma che amava sempre confrontarsi.

Anche i lavori più impegnativi, per un giovane, erano resi più piacevoli dal suo umorismo. Un giorno condivisi con Antonio il fatto che provenivo da una famiglia liberale piemontese tradizionale. Mi chiese se mia madre mi aveva comprato il motorino o la macchina. Risposi che non mi aveva comprato ne’ l’uno né’ l’altra. Questo non per ristrettezze economiche, ma per disciplina piemontese: lavori e te li compri. Aggiunsi che venivo da Alba a Milano in treno ogni lunedì e che prima dello stage il mio budget settimanale era di 50,000 lire. Considerando che 9,000 lire erano per il ritorno in treno, se avessi invitato una ragazza per una pizza ai Navigli, avrei dovuto digiunare per il resto della settimana. Divertito, mi rispose: “Allora è un misto di liberalismo e autoritarismo. La tua famiglia è una piccola Singapore”. L’ho conosciuto quarantenne: il sorriso di Antonio era il sorriso di un ragazzo.

Mi coinvolse in lavori complessi, fra cui lo studio dei servizi complementari ai telefonini, per la Nokia. A metà anni 90, Antonio aveva già capito che questo gadget non sarebbe servito per telefonare, ma sarebbe diventato il vettore di una transformazione sociale. Feci un buon lavoro. Mi ricordo che lesse la mia prima bozza e venne a trovarmi alla mia postazione di lavoro con la finestra su Via Torino. Mi disse che la bozza era buona. Mi raddoppiò lo stipendio.

La sua interpretazione del settore dei media era unica. Mi ricordo a casa sua, nei pressi di Porta Romana, di fronte a due dipinti enormi, mi spiegò come i media influenzano e riflettono il comportamento umano, come un quadro fiammingo in cui il pittore e’ parte del dipinto, in un gioco di prospettive. Capire la società, comprendere l’uomo, ricercare le radici filosofiche dell’essere, sono essenziali per comprendere l’impatto di questo settore. Tutto il resto è tecnicità.

Antonio mi coinvolse in un lavoro di analisi del business model di Blu, il nuovo entrante nella telefonia mobile. Avremmo trascorso tre settimane con il gruppo di lavoro, coinvolgentdo alti dirigenti di Mediaset, ENI, British Telecom e Telenor, e coordinato da un certo Elserino Piol.

Elettrizzato dall’opportunità di lavorare con i due giganti dell’Information and Communications Technology (ICT) di quegli anni, volevo fare bene. Dissi ad Antonio che mi sentivo preparato su contabilità, finanza e tecnologia, ma non sul marketing. Antonio mise sul tavolo due trattati di marketing in inglese e mi chiese: “Hai studiato Kant sui libri del liceo o hai letto Kant?”. Risposi che avevo letto una parte molto, molto modesta dei testi originali, tradotti dal Tedesco all’italiano. Mi rassicurò: “Se li hai letti, questi due trattati li leggi in una notte. Sono pochi concetti essenziali”.

Profondità intellettuale e pragmatismo. Criticava i piani di marketing presi a prestito da esperienze estere. Sapeva che la realtà italiana, con la sua rete di PMI sul territorio, era unica e richiedeva analisi specifiche.

Mi dava sempre l’opportunità di presentare il mio lavoro. Di fronte a Nokia, a Mediaset, di fronte a Elserino Piol… .tanto dopo due slide tutti si rivolgevano a lui. Tutta la sala pendeva dalle sue labbra. Ognuno cercava di carpirne i segreti, il sacro Graal della relazione fra media e società. Tutto il resto, bilanci, tecnologie, erano tecnicismi, tecnicismi che Antonio padroneggiava e dominava.

Dopo tre anni di esperienza, le nostre strade si separarono. Antonio salì a alte cariche istituzionali. Io lasciai l’Italia per l’America, per una carriera in Banca mondiale che mi ha portato a essere il global lead di questo settore.

Restammo in contatto negli anni, e poi ci siamo persi di vista. Un cambio di telefono (maledetto questo vettore, ma allora ne siamo proprio schiavi!), e persi il suo numero. Antonio non era “sui social”. Ovviamente. I social sono apparenza, lui era “realtà effettuale”, sostanza.

Nel 2020, in piena pandemia, sentii il forte bisogno di ricontattarlo, di confrontarmi ancora una volta sul legame fra comunicazione e società, nel mezzo della emergenza sanitaria.

Mi rivolsi al direttore Nicola Porro, che non conoscevo, sapendo che Antonio interveniva nel suo blog. Cortesemente Porro mi rimise in contatto e Antonio mi scrisse “ingegnoso il modo di ritrovarmi. Mi fa piacere”. Era sempre garbato e conciso. Per un ultima volta, ho avuto modo di collaborare con lui e con altri amici di quegli anni (Emilio Pucci) nel 2020, con un contributo sul 5G per il volume della Fondazione Magna Carta. Lo studio “La vita ristretta dal virus”, coordinato da Antonio, si proponeva di capire come la società’ avrebbe usato la tecnologia in risposta alle restrizioni alla libertà.

Mi invitava ad essere conciso – lo farebbe leggendo la bozza di questo articolo. Calcolava sempre il tempo necessario al lettore per leggere un pezzo. Nel Marzo 2022, mi aiuto’ a scrivere una lettera alla nostra Presidenza del Consiglio dei Ministri. Gli mandai una bozza di tredici pagine, la mie riflessioni sulla presenza italiana nel gruppo banca mondiale. Mi rispose che per leggere 13 pagine ci vogliono 40 minuti. “Ricordati che non è la loro priorità”. Ne tagliai 12.

Marzo 2022. Il suo ultimo messaggio, di incoraggiamento. Gli scrissi a fine luglio. Ero felice che dopo venti e più anni, sarei tornato a lavorare in Europa. E’ l’unica volta che non mi rispose. Morì ad agosto.

Mi manca molto quella risposta al mio ultimo messaggio. Mi manca l’opportunità di tornare finalmente in questa Europa tormentata dalle sfide geopolitiche e confrontarmi con il mio mentore e amico. Antonio univa fascino e leggerezza, concretezza e senso dell’umorismo, grande profondità intellettuale e semplicità. Mi ha trasmesso la passione per un settore che mi ha accompagnato tutta la vita, mi ha insegnato a essere paziente e costruttivo con le risorse giovani. Rimango prolisso.

Avere un mentore nella vita è la fortuna massima.

Arrivederci Antonio.

Carlo Maria Rossotto

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