In tutti gli ambiti delle nostre vite, a livello personale, lavorativo, comunitario, si possono riconoscere passaggi epocali, passaggi che sono ricordati in quanto hanno cambiato, in meglio, le sorti delle vite delle persone. Detto diversamente: momenti che lasciano un segno, perché generativi di bene. È quello che è accaduto con l’approvazione dell’emendamento alla legge 75/23 (cosiddetto PA bis).
Una breve premessa: la nostra Costituzione pone al centro la persona, poi viene lo Stato. Bellissimo! Le leggi, quindi, che devono essere conformi ai principi dichiarati nella Costituzione, introducono norme che hanno a che fare con la vita dei cittadini e la cambiano. In meglio. È esattamente ciò che è successo con l’approvazione del decreto legge 75/23 (cosiddetto PA bis): infatti esso prevede che per coloro che hanno svolto servizio, presso le istituzioni scolastiche statali o presso le scuole paritarie, per almeno tre anni, anche non continuativi, di cui almeno uno nella specifica classe di concorso per la quale scelgono di conseguire l’abilitazione, nei cinque anni precedenti, nonché coloro che abbiano superato la procedura straordinaria di cui all’articolo 59, comma 9-bis, del decreto-legge 25 maggio 2021, n. 73, l’acquisizione dell’abilitazione all’insegnamento attraverso il conseguimento di 30 CFU/CFA (in luogo dei 60 CFU/CFA) di cui all’articolo 13, comma 2, del medesimo decreto legislativo n. 59 del 2017.”
Si comprende chiaramente come l’emendamento miri ad agevolare l’acquisizione dell’abilitazione attraverso il conseguimento di soli 30 CFU/CFA del percorso di formazione iniziale per tutti quei docenti che abbiano già tre annualità di servizio presso le istituzioni scolastiche statali o presso le scuole paritarie e che, verosimilmente, intendano utilizzare il titolo abilitante per fini diversi dalla partecipazione al concorso. Si tratta di un passaggio realmente epocale nella scuola italiana tutta. E, dal momento che la scuola intercetta la vita dei cittadini, il passaggio epocale abbraccia l’intera società.
Quasi non ci si crede: esattamente come per i colleghi delle scuole statali, i docenti delle paritarie avranno quindi la possibilità di abilitarsi e, di conseguenza, di essere assunti a tempo indeterminato. Il servizio presso una scuola pubblica paritaria è riconosciuto al pari di quello prestato presso una scuola pubblica statale. A rigor di logica un passaggio scontato, ma non così nei fatti, visto che abbiamo dovuto aspettare 23 anni dalla legge sulla parità scolastica, la 62 del 2000. I docenti non saranno più costretti a partecipare ai concorsi statali, lasciando la scuola paritaria, che negli ultimi anni ha subìto una drastica emorragia di insegnanti.
Ricordiamo, se ancora ve ne fosse il bisogno, qual è la situazione dei docenti in Italia. A motivo del mancato riconoscimento della libertà di scelta educativa, la libertà di insegnamento rimane solo sulla carta. Infatti, il docente, di qualsiasi ordine e grado, che decide di prestare servizio presso una scuola paritaria, deve accettare, a parità di titolo con il collega della scuola statale, uno stipendio inferiore. Infatti, le scuole paritarie, dovendo pagare di tasca propria i docenti e dovendo inevitabilmente fare i conti con i bilanci che devono consentire la continuità dell’opera, applicano contratti che prevedono condizioni economiche inferiori rispetto al contratto collettivo nazionale in essere per chi lavora nella scuola statale. È un sistema, pertanto, che danneggia tutti.
Si tratta di una condizione chiaramente iniqua, frutto di un paradosso: la Costituzione prevede la libertà di scelta educativa della famiglia e la libertà di insegnamento per i docenti, la legge 62/00 afferma che la scuola paritaria svolge un servizio pubblico e che il Servizio Nazionale dell’Istruzione è formato dai due rami della scuola statale e della scuola paritaria, entrambe pubbliche, eppure la realtà è ben diversa da quello che è scritto sulla carta. Un passo in più o, meglio, un’iniquità nell’iniquità, per comprendere ancora meglio il passaggio storico che stiamo vivendo: i docenti delle scuole pubbliche paritarie hanno vissuto negli ultimi anni, fra le tante ingiustizie, una situazione molto difficile lesiva della loro dignità.
Infatti, in assenza di docenti abilitati, le scuole pubbliche paritarie hanno dovuto ricorrere a personale non abilitato per il quale sussiste, per un triste e drammatico paradosso, una reale impossibilità ad abilitarsi per l’assenza di concorsi abilitanti. Il cane che si morde la coda. È brutto il dirlo così ma è la verità: conseguentemente, le scuole paritarie sono state costrette, pena la nullità del contratto, ad assumere i docenti non abilitati a tempo determinato. Per ben sette anni, a rigore di contratto di settore, le scuole paritarie possono tenere questi docenti a tempo determinato, anche contro la loro, dei Gestori delle scuole, espressa volontà.
Fatto sta, comunque, che le scuole paritarie sono costrette a tenere questi docenti a tempo determinato. Docenti che si sono visti lesi nella loro dignità, perché, con un contratto a tempo determinato, gli orizzonti delle scelte di vita si riducono notevolmente: impossibile, ad esempio, accendere un mutuo. Si tratta di una palese ingiustizia, perché ciò che conta, ed è bene ricordarlo, è il diritto alla libertà di scelta educativa della famiglia, è il diritto di apprendere degli studenti, è il diritto alla libertà di insegnamento dei docenti, senza alcuna discriminazione economica. Tre diritti negati che generano, inevitabilmente, una situazione chiaramente iniqua. Questa situazione ora cambia radicalmente.
Non possiamo, dunque, non essere enormemente grati per quanto il ministro Giuseppe Valditara che, in un confronto franco con le associazioni Diciamolo sui Tetti ed Agorà, con lo staff del Ministero e tutto il governo ha pensato per i docenti in sevizio da anni presso le scuole paritarie, riconoscendo il servizio svolto come titolo abilitante, consentendo così la trasformazione a tempo indeterminato dei loro contratti. Si tratta di una misura che fa la storia della scuola in Italia e che concorre a garantire la libertà di insegnamento.
Serve coraggio, tanto coraggio, per introdurre riforme come quella appena approvata: il coraggio di andare contro l’ideologia, gli interessi, le invidie. Ma è un coraggio che è ripagato dalla soddisfazione di aver compiuto una scelta di bene, una scelta di giustizia, una scelta di libertà. Ovviamente nell’attesa che sia compiuta la riforma delle riforme che realizzi pienamente le tre libertà fondamentali: di scelta educativa per i genitori, di insegnamento per i docenti, di apprendimento per gli studenti.
La libertà di insegnamento è un diritto riconosciuto dalla Costituzione, un diritto che, però, si scontra con l’iniquità del nostro sistema scolastico e che, dall’altra, se attuato, alimenta lo spirito critico dei giovani di oggi, cittadini consapevoli del domani. Ecco, perché, custodire, difendere e realizzare la libertà di insegnamento è un valore civico di fondamentale importanza che, come tutti i valori, si radica nell’oggi ma guarda al domani, si pasce del presente ma non dimentica il futuro. Se la scuola è il luogo della sinergia tra studenti, famiglie e docenti, l’emendamento approvato consente ai docenti delle scuole paritarie di saldare ulteriormente quella sinergia a tutto vantaggio di studenti e dei loro genitori.
In questa ottica, il prossimo passo è che, attraverso la legge di bilancio, sia riconosciuta alle famiglie, a loro direttamente, una quota pari ad almeno il 70% del costo medio studente, così come definito annualmente dal Ministero. Il rischio, se così non dovesse avvenire, è l’instaurazione del monopolio educativo da parte dello Stato, ossia lo Stato che diventa gestore unico dell’istruzione dei cittadini. Ma, lo sappiamo, il monopolio educativo è dei regimi, non delle democrazie. E l’Italia è una democrazia. Fino a prova contraria.
Suor Anna Monia Alfieri, 28 luglio 2023