Mercuriale Domenico Arcuri: “Siamo stati straordinari, tutti dovrebbero riconoscerlo”. L’ha detto davvero, e già che pretenda pubblica devozione, dimostra qualcosa. Dimostra che la devozione latita e a questo punto bisogna capire se sono gli italiani a non comprendere o se è lui a non meritarsela. Domenico Arcuri, de profezion bel zovine (avrebbe detto Nereo Rocco), è della specie più pericolosa: uno che crede sul serio di essere un fuoriclasse, non importa quanto la realtà faccia muro: se i conti non tornano, al diavolo i fatti, se ne faranno una ragione.
In realtà, l’universo che dovrebbero riconoscerlo, riconosce in Arcuri una figura che fino a tre mesi fa non sospettava: quella dell’ennesimo boiardo, o superburocrate, o manager, o influencer, tanto ormai sono categorie intercambiabili, ne trovi a un soldo la dozzina e te li tirano dietro (un altro sta a Londra…), dalle sicure competenze: anche se nessuno saprebbe dire quali; neanche Arcuri, che è un po’ come la magistratura: garantisce per lui.
Arcuricè Cassazione: quando dichiara qualcosa, quella è. Magari alla rovescia, ma quella è. Il rosario di gaffe nel tempo del lockdown è leggendario, roba difficile da mettere insieme in poche settimane, ci voleva proprio un supermanager, di quelli che i ministeri si rimpallano di legislatura in legislatura; perché i governi passano, ma gli Arcuri galleggiano sempre, come l’olio sull’acqua. Domenico è sempre Domenico: eccolo, ancora nel riscaldamento della pandemia, 22 marzo, alle prese con Lucia Annunziata: “Il Presidente del Consiglio Conte che governa questa macchina complicata ha chiesto e ottenuto dal Presidente Putin di far arrivare in queste ore, e arriveranno a Roma, alcuni aerei dell’Unione Sovietica che porteranno 180 medici, infermieri e ventilatori”. L’Unione Sovietica. Che si era sbriciolata 29 anni prima. Ma, si sa, Arcuri è un comunista da dormeuse e rifugge la realtà, per lui il tempo s’è fermato all’amore in bianco e nero per l’URSS; un po’ come Sandrino Mazzola che, quando rievoca le sue gesta in azzurro, parla ancora di “Jugoslavia” e “Cecoslovacchia”. Muri di memoria che non vanno giù.
Da quel momento, è escalation, der Uberkommissar non smette più d’incombere: ammonisce, dirige, consiglia, striglia, sgrida, annuncia, vaticina, sempre con quella voce che sprizza affabilità da tutte le corde vocali. I risultati, da quel grosso manager che è, non tardano ad arrivare: spara la notiziona dei “5 milioni di tamponi già pronti” e immediatamente il virologo Andrea Crisanti lo infila di rimessa: sì, ma i reagenti dove stanno? Al che Domenico replica: calma e gesso, stiamo facendo il bando. È il 12 maggio, in Veneto lo stesso Crisanti ha fiutato il pericolo per tempo ed è partito il 20 gennaio, quasi 4 mesi prima. Bando alle ciance!
Quelle di Arcuri, che, non contento, infila subito un’altra perla: entra a gamba tesa nello smercio delle mascherine annunciando un prezzo calmierato di 50 centesimi e scagliandosi contro i “liberisti da divano”: la trovata dirigista del tovarish manager da sofà raggiunge l’effetto immediato di una sicura distruzione del mercato: quei patetici scudi di pezza contro il virus impalpabile diventano più ricercati di un Gronchi rosa per la disperazione di farmacisti, cittadini e congiunti; cassoni di robaccia cinese (l’ironia del fato non ha limiti, come l’incoscienza di certi fenomeni al potere) intercettati alla dogana, e quindi la fatidica soluzione all’italiana: arrangiatevi, va bene tutto, cartone, pannolenci, fazzoletti, scampoli di tappezzeria, si torna, anzi si resta, all’arte d’arrangiarsi.
Ma niente paura: “Stiamo provvedendo”, raccomanda senza requie Domenico, che è uno dei Gerundio Boys di Giuseppi il quale lo apprezza al punto da mortificare chiunque si permetta una domanda – “Se lei ritiene di far meglio di Arcuri, la terrò presente”. E solo la buona educazione impedisce al giornalista Alberto Ciapparoni, di RTL 102,5, di rispondergli: tutti farebbero meglio di Arcuri. Der Uberkommissar non fa una piega, avanti per il suo sentiero di spocchia anche quando il presidente di Federfarma, Marco Cossolo, lo pungola: “Il Commissario mi dica dove devo trovarle e noi ben volentieri le comperiamo. A quest’ora sul mercato non sono disponibili. E si faceva una gran fatica anche prima del prezzo calmierato. In ogni caso confermo quanto già detto e preciso che le farmacie non si sono mai lamentate né del prezzo basso, né abbiamo mai detto che ci rimettevamo a venderle perché eravamo ristorati”. Italia, porco paese che non riconosce le sue eccellenze.
Nel frattempo, Giulia Presutti di Report si occupa di una attorcigliata faccenda di respiratori sequestrati e dissequestrati alla dogana: quando la stessa Presutti, durante la conferenza stampa del 2 maggio, lo incalza sul punto, Arcuri prima si agita, poi si mette a vaneggiare di calcio. Insomma fa melina e, all’occorrenza, butta la palla in fallo laterale. Resterebbe da rievocare l’ulteriore capolavoro sulla app Immuni, più volte annunciata in una bufera di confusione, di incertezze, di rinvii e di conseguente diffidenza negli italiani i quali, pervicacemente, non ce la fanno proprio a convincersi della straordinarietà del loro Uberkommissar. Cazzoni che altri non sono. E sì che Domenico sono 3 mesi che li avverte, un po’ alla maniera del prof. Muscolo, quello di Gian Burrasca: “Tutti fermi! Tutti zitti! Nessuno si azzardi a muovere un muscolo del viso!”.
Ancora poche ore fa, in occasione del “ritorno alla normalità” senza più barriere regionali, non si è tenuto dal tratteggiare orizzonti di sfiga: “Abbiamo riconquistato la libertà ma non dimentichiamo quei terribili giorni, pieni di morti. Senza una consapevole gestione dell’emergenza il virus si sarebbe esteso probabilmente in tutto il Paese con la stessa profondità e la stessa drammatica gravità”. Praticamente Arcuri si sente contemporaneamente megadirettore laterale e impiegato inferiore: allo specchio si dice: io sono un supermanager eccezionale, ma buono; e si risponde: com’è umano, lei…
Umano, troppo umano: mai smettere di affliggere le populace scriteriato, incline alle movide, agli assembramenti, questo lumpenproletariat da guidare col bastone e la carota (ministro Francesco Boccia dixit, un altro che te lo raccomando). Lenin dove sei. Eh, non sconfinfera troppo ad Arcuri la libera uscita, la licenza dalla clausura, lui, da bravo nostalgico dell’Unione Sovietica, sogna una società regolamentata, in cui tutti controllano tutti, abitano in Panopticon senza scampo e ci stanno dentro senza mai evadere, nemmeno col pensiero. E, al di sopra, lui, Der Uberkommissar, il Leviatano con l’app, l’uomo della provvidenza, il supermanager che resiste ai governi e non sbaglia mai. Roba da mettersi in ginocchio al suo cospetto, alla Myrta Merlino: der Uberkommissar lives matter.
Max Del Papa, 5 giugno 2020