Sovranisti al governo con Lega, europeisti con il Partito Democratico; filoamericani con Salvini, filocinesi con i giallorossi. Il Movimento 5 Stelle rappresenta la quintessenza del trasformismo: un cocktail geopolitico che, a seconda della convenienza, viene modificato aggiungendo una parte di sovranismo o di europeismo, di atlantismo o di socialismo.
Grillini, tutto e niente
Il grillismo è tutto e niente. In questi quattro anni, il partito che doveva aprire “il Parlamento come una scatoletta di tonno” si è dimostrato il più omologato al mainstream che tanto contestava agli albori. Il corso della legislatura lo ha portato a divorziare con il populismo per sposare la strada del progressismo, sotto la guida dell’ex premier tecnico Giuseppe Conte. Lo strappo pentastellato all’ordine del giorno presentato da Fratelli d’Italia – che impegnava il governo ad aumentare le spese militari al 2 per cento – ed il voto di fiducia in Senato per l’approvazione del decreto Ucraina hanno aperto una nuova ferita interna nel partito. Una nuova spaccatura tra chi rimane il grillino trasversale della prima ora e chi si riconosce nella guida contiana di centrosinistra.
Prima del voto di ieri mattina a Palazzo Madama, che ha visto approvare il decreto Ucraina con 214 voti favorevoli, 35 contrari e nessun astenuto, l’intero scacchiere parlamentare aveva annunciato la volontà di votare in maniera compatta l’intero pacchetto di aiuti. Tutti tranne uno: il Movimento 5 Stelle. Un’ala pentastellata, guidata dal presidente della commissione Esteri, Vito Petrocelli, ha confermato il proprio no. Anzi, come riportato da “Repubblica”: “La mediazione sulla dilazione temporale – ovvero l’accordo raggiunto sull’aumento delle spese militare, ma scaglionato fino a raggiungere la soglia del 2 per cento solo nel 2028 – ha portato al forfait anche di tre colleghi in commissione Difesa, non convinti della posizione intransigente dell’ex Presidente del Consiglio”. E ancora Petrocelli: “Smentisco i giornali che dicono che sono filorusso: in realtà, sono filocinese”.
Maestri del dietrofront
Ebbene sì, la domanda che sorge spontanea è la seguente: come si colloca il Movimento nella sfera geopolitica globale? Com’è possibile conciliare pacifismo ed aumento delle spese militari, seppur dilazionate nel tempo? Potrebbe essere uno degli infiniti dietrofront cui i grillini ci hanno abituato ad assistere in questi anni; se non per il fatto che, in contesti di guerra come quello attuale, la linea da tracciare per un chiaro orientamento in politica estera è necessario, soprattutto per una forza di governo che siede nelle stanze di governo da quattro anni e mezzo. Gli interni del Movimento seguono la linea di Conte o quella di Petrocelli? La storia dei pentastellati sembra conciliarsi con la seconda.
L’intesa grillo-cinese
Seppur l’avvocato ha sempre parlato vagamente di “impronta internazionale”; lo scorso giugno, Beppe Grillo incontrava l’ambasciatore cinese in Italia, dopo che l’ex premier prima accettò e poi disertò l’incontro in Zona Cesarini. Sempre sul blog di Grillo, il 15 giugno 2019, in un pezzo dal titolo “Il caso di Hong Kong e i tentativi di destabilizzazione”, venivano minimizzate le ribellioni dei cittadini di Hong Kong represse dal regime, affermando trionfalmente come fosse Pechino a voler “disinnescare le proteste”. Nonostante ora cerchi di ritrattare le proprie posizioni in politica estera, anche il ministro Luigi Di Maio manifestò in precedenza più che un debole per il regime cinese, schierandosi in prima fila per sottoscrivere il Memorandum of Undestanding sulla “Nuova Via della Seta”. Né si possono dimenticare gli elogi del governo giallorosso alla gestione pandemica di Pechino.
Il 25 febbraio 2020, i giallorossi decisero di inviare alla Repubblica Popolare più di 2 tonnellate di dispositivi di protezione individuale, mascherine comprese, per poi rimanerne drammaticamente sprovvisti poche settimane dopo. Descritto come un fedele alleato per aver inviato più di 60 milioni di mascherine all’Italia; a distanza di un anno, più del 50 per cento dei dispositivi vennero sequestrati dalla procura di Gorizia in quanto non rispettosi degli standard europei per la protezione dal Covid-19.
Partito lacerato
Lo scioglimento delle ambiguità non pare arrivare. La strategia di Conte sembra quella di sempre: cercare di mantenere apparentemente unito un partito ormai lacerato tra diverse correnti, diviso su tutte le questioni governative e in continuo crollo di consensi. Nei giorni scorsi, lo stesso avvocato manifestò l’eventuale possibilità di abbandonare il Movimento in caso di rielezione interna risicata. Il risultato, però, è stato schiacciante: più del 94 per cento dei votanti ha confermato la leadership dell’ex premier.
Ora, sarà tutto da vedere se Conte riuscirà a trasferire il sostegno elettorale interno nella ristrutturazione di un partito in caduta libera. I sondaggi non attestano questo cambio di marcia. E un ulteriore calo da qui ai prossimi mesi rischierebbe di trascinarlo sotto il 10 per cento.
Matteo Milanesi, 1° aprile 2022